Perché Giorgia Meloni non è femminista

Perché Giorgia Meloni non è femminista
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Non basta avere una vagina per essere femministe e non basta avere un pene per non esserlo. Questo è un mantra che mi sono ritrovata a ripetere spesso, negli ultimi anni, – a onor del vero, paradossalmente più spesso in ambienti femministi e progressisti che maschilisti e conservatori.

Il femminismo è una filosofia a tutti gli effetti e in quanto tale è portatrice di una visione del mondo. Tuttavia, il mondo è complesso, per questo motivo all’interno del femminismo troviamo profondi mutamenti storici (si pensi a quante differenze corrono fra le varie “waves”) e profonde differenze interne (per citare forse il caso più estremo: sia le TERF che le transfemministe sentono di appartenere al “femminismo”).

Ma al di là di tutte le differenze scaturite dalla crescente complessità del nostro contemporaneo, se volgiamo lo sguardo indietro e torniamo alle origini, troviamo Mary Wollstonecraft ad accoglierci a braccia aperte e a dirci che tutto quello che ha scritto lo ha scritto perché vedeva che le ragazze non avevano le stesse opportunità (in termini di educazione e realizzazione della propria vita) che avevano i ragazzi.

Il femminismo, che è diventato un pensiero splendidamente complesso, nasce semplicemente (si fa per dire) dall’osservazione del sistema sociale.

Qui serve una brevissima pausa e una brevissima riflessione sul termine “sistema” che spesso desta sospetto in chi paventa teorie complottiste ed eccessivamente elaborate. Nel parlare di “sistema” non c’è assolutamente nulla di complottistico, riporto la definizione di Treccani:

 

Nell’ambito scientifico, qualsiasi oggetto di studio che, pur essendo costituito da diversi elementi reciprocamente interconnessi e interagenti tra loro o con l’ambiente esterno, reagisce o evolve come un tutto, con proprie leggi generali.

 

Qualsiasi sistema presuppone proprie leggi, anche il sistema sociale ha delle leggi. Il sistema sociale di tipo patriarcale, che è quello in cui viviamo, basa le sue leggi su un’opposizione elementare: c’è il normale/giusto (che è l’uomo) e c’è l’anormale/sbagliato (che è tutto quello che uomo non è).
Su questa distinzione e concomitante attribuzione di valore si basano tutte le altre leggi che fanno sì che la nostra società viva (su questo, per un approfondimento, consiglio la lettura de Il secondo sesso di Simone de Beauvoir).

 

Il secondo sesso Simone de Beauvoir

 

Posto quindi un sistema sociale patriarcale che funzioni secondo determinate leggi, il femminismo è quel pensiero che si propone di sovvertire quelle leggi perché le reputa ingiuste.

Fin qui tutto chiaro o quasi.
Il problema è insito nel concetto di sistema. Il patriarcato non è un’idea, non è un pensiero, né una teoria. Il patriarcato è un sistema. Si autoalimenta. Non c’è un gruppo di patriarchi-capo nascosti dentro un bunker in Islanda che tramano muovendo i fili del mondo. Non esiste una regia del patriarcato perché il patriarcato siamo noi. È il nostro modo di pensare. A volte capita – ed è del tutto normale – che idee femministe vengano poi articolate all’interno di un sistema di pensiero che è pienamente patriarcale. Siamo fatti di patriarcato, emarciparsi da quel modo di pensare va ben al di là dello studio, delle letture, dell’informarsi.
(Un esempio: quando un partito pensa a delle misure per aiutare le donne nel loro ruolo assistenziale così che possano continuare a lavorare; bello, bravi, però così non stiamo dando per scontato che sia la donna a prendersi cura di tutte quelle persone che all’interno di una famiglia hanno bisogno di assistenza?)

C’è una splendida pensatrice femminista che si chiama Hélène Cixous che negli anni 70 scrive diversi saggi sulla sua idea di femminismo e in questi saggi porta avanti il concetto di “automatismo”: automatismi sono tutti quei comportamenti inconsci, “automatizzati” dalla natura stessa del sistema in cui viviamo, che ci portano ad alimentare il patriarcato anche quando consciamente siamo accanitamente femminist*.

Scardinare gli automatismi è possibile, ma è un duro lavoro perché bisogna innanzi tutto essere in grado di riconoscerli.

Questa lunga premessa ritorna infine al punto di partenza: non basta avere una vagina per essere femminista.

Il fatto che Giorgia Meloni probabile prima donna Presidente del Consiglio della Repubblica italiana, non rappresenti in nessun caso una vittoria per il femminismo presenta un chiaro aspetto politico che se ne porta dietro uno sistemico.

Il politico: nella politica di Giorgia Meloni può esserci una volontà assistenziale rispetto alla condizione femminile, ma mai emancipatoria. Ossia, un esempio: io aiuto le mamme, a patto che le mamme restino diligentemente aderenti al ruolo che la società patriarcale ha deciso per loro. L’aiuto c’è, ma è accordato solo previo rispetto della norma. Tutto quello che resta fuori dalla norma ha solo due possibilità: essere ricondotto alla norma o essere rifiutato.

Altro esempio, l’aborto: Giorgia Meloni è una “donna che aiuta le donne”, però poi non riconosce loro il diritto di scegliere cosa fare del proprio corpo. Io ti difendo, a patto che tu ti faccia dire da me – in questo caso donna, ma pur sempre rappresentante del sistema patriacale – cosa è meglio per te.

L’aspetto sistemico sotteso a tutto questo è esattamente l’automatismo: la donna ha un ruolo, quel ruolo è subalterno, qualsiasi aiuto o qualsiasi progresso verranno realizzati entro il confine di questa visione del mondo. Non c’è alcuna volontà di decostruire il sistema patriarcale che continua ad essere accettato e assecondato (o meglio: negato, perché quale miglior modo per non affrontare un problema che far finta che non esista? Psicologia dell’evitamento, a quanto pare funziona anche con patriarcato e fascismo!).

Ora, un sistema non è per forza qualcosa di sbagliato. Se un sistema è una convenzione fra individui che ne condividono il funzionamento e gli scopi allora è tutto straordinario. Il problema sorge quando qualcuno degli attori coinvolti nella perpetuazione del sistema inizia a dire che non va più bene, che le regole vanno cambiate perché non sono uguali per tutti.

Il sistema patriarcale è durato secoli, indisturbato. Era il tacito accordo avvenuto in seno alla società perché “quelli col pene” facessero determinate cose e avessero determinati privilegi, mentre “quelle con la vagina” facessero altre cose e mantenessero la loro posizione di subalternità.

Però oggi non è più così. Il sistema è già in corso di mutamento, il funzionamento del sistema è già contestato. Le donne hanno già chiesto di decidere le regole insieme agli uomini e a tutti i generi esistenti. Abbiamo tanta strada davanti, ma anche tanta strada già percorsa: perché dovremmo voler tornare indietro?

Perché dovremmo tornare a sentirci dire che lo scopo ultimo della vita di una donna sia essere madre? Perché dovremmo tornare ad essere appellate come vittime solo quando la violenza che subiamo è funzionale al programma politico? E perché dovremmo invece ricominciare a sopportare in silenzio la violenza sistemica e quella familiare rassegnate al fatto che è quello il nostro ruolo?

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PS: Giusto qualche pensiero in libertà miei cari. Non scrivevo da un po’ e ho voluto aggiungere giusto un paio di passaggi nel merito dell’evoluzione del pensiero femminista che mi sembra spesso vengano trascurati quando ci si lancia in arringhe insta-femministe. Abbiamo delle gigantesse dietro di noi, gigantesse alle quali dobbiamo tutto quello che abbiamo in termini di “categoria di genere”. Il loro pensiero, le loro idee e le loro azioni sono le uniche armi che abbiamo per non perdere di vista lo scopo ultimo: individuare l’automatismo e decostruirlo.

Mary Wollstonecraft ci parla ancora, così come Cixous, così come Davis, Kristeva, Spivak, Wittig. Ascoltiamole.
E andiamo a votare , il prossimo 25 settembre, con le loro parole che risuonano nelle orecchie.

 

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