Chi si accanisce contro il lutto degli altri, vero o presunto, per i personaggi famosi, mi ha sempre fatto un po’ ridere. Ci sono i fan di vecchia data che rosicano perché quello che conosce solo una canzone scrive un post su Facebook per ricordare il suo grande beniamino appena passato a miglior vita. Ci sono i benaltristi che ci ricordano che i motivi di tristezza sono altri. Ci sono i cinici, poi, sì, sui social ci sono anche quelli che vogliono litigare e basta.
La morte di Elisabetta II solleva nuove polemiche intorno alla morte di gente che conosciamo a distanza.
C’è la polemica di chi commenta “manco fosse tua nonna”, c’è la polemica (più politicizzata e nettamente più legittima) di chi la chiama colonizzatrice.
Il primo tipo lascia il tempo che trova. Direi che potremmo chiuderla con un “ma chi sei? ma chi te s’e’ncula?”. Non devo chiedere il permesso a nessuno per esser triste, né tanto meno credo di far male a nessuno.
Il secondo tipo è più interessante, è più complesso, ci porta a ragionare.
La regina Elisabetta per chi non ha subito nulla da parte del potere che rappresentava è un’immagine grosso modo positiva. Tutt’al più indifferente. È la nonnina color pastello che odiava Diana. Folklore, cultura pop, super divertente.
Per chi quel potere lo ha subito la faccenda è un po’ diversa, ma non sarò io a parlare del loro punto di vista, anzi, vi invito, dopo aver letto questo post, ad andare a cercare il punto di vista di persone con un’esperienza coloniale diretta o indiretta sulle spalle (l’Instagram abbonda, andate e perlustrate).
Quello che (come sempre) mi sembra mancare è tutto quello che sta in mezzo.
Metà di me è un’anglista. Ormai da anni studio quella lingua, quella cultura, quella Storia. Ho iniziato studiando “l’Inghilterra”, così come te la scodellano a scuola e all’università, poi ho trovato il mio angolo critico e ho iniziato a studiarla dal punto di vista degli studi culturali, post-coloniali e di genere.
Questo mi ha aiutato a vederne tutte le contraddizioni, tutte le brutture. Il colonialismo inglese è responsabile di situazioni gravissime in giro per il mondo che si trascinano ancora oggi. Internamente poi, la Gran Bretagna ha sempre gestito in maniera quanto meno maldestra il rapporto con le classi operaie e più povere. Ha gestito maldestramente anche il rapporto con Irlanda e Scozia. Come abbiamo visto anche il rapporto con l’Europa.
E tuttavia la amo ancora.
E in nessun modo il mio attaccamento emotivo e affettivo verso una materia che è con me da quasi metà della mia vita mi porta a dire che è giusto quel che la Gran Bretagna ha fatto nel corso dei secoli.
Studio quel che studio proprio perché sono contro ogni forma di imperialismo, ma amo Shakespeare e amo Virginia Woolf e amo Marks&Spencer e il cream tea e la pioggia tutti i giorni.
Tutto questo sa di giustificazione perché lo è.
Perché sono due giorni che leggo lezioncine che mi dicono che il fatto che mi sia dispiaciuto che Elisabetta II sia morta rivela che c’è qualcosa che non so, qualcosa che non ho capito.
C’è sempre tanto da leggere e tanto da studiare, ma non voglio e non devo gettare alle ortiche tutto quel che so in nome di un paternalistico senso di colpa del colonizzatore. Perché quest’incapacità di accettare le contraddizioni? Non solo i corpi e le sessualità, anche le coscienze credo possano essere fluide.
Sono bianca e sono privilegiata e sono europea e lavoro ogni giorno per cercare di nettare il mio sguardo da ogni possibile scoria colonialista, privilegiata, eurocentrica. E proprio in virtù del fatto che le mie contraddizioni mi sono chiarissime, non capisco come ciò che provo possa rappresentare un problema per qualcuno.
Non invalido la reazione di nessuno, sono un’ally zitta e buona, convinta che l’unico modo per lottare contro il sistema in cui viviamo sia la ridistribuzione degli spazi che sono stati occupati da una sola visione del mondo. Questo non significa che io debba scomparire. Questo non significa che il mio modo di vedere le cose debba essere annullato.
Il sentimento che provo per la morte di Elisabetta II è quello che si prova quando torni dopo tanto tempo in un posto e non lo ritrovi uguale, quando il cinema dove andavi da bambin* chiude, quando il posto dove sei cresciut* non esiste più, quando il vicino col cane che abbaiava sempre si trasferisce e lascia indietro solo un silenziosissimo e perplesso sollievo.