Attaccare Ferragni sui temi del femminismo è cis-patriar-maschilista? Probabilmente sì (ed è tutta colpa del tuo patriarcato interiorizzato)

Ferragni Sanremo femminismo
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Una bambolina. Una modella.

Leggera, filiforme, bionda. Occhioni azzurri e chili di mascara. Si occupa di moda e social. È ricca.

Praticamente una certezza.  Un cliché fatto carne e ossa. Non c’è bisogno di aggiungere altro, non ci serve sapere altro, immaginiamo già tutto: party, champagne, aerei privati, altre amiche ricche con cui andare nei privé delle discoteche a ballare e parlare di nulla. La sua preoccupazione più grande è ovviamente la manicure.

Poi però capita che questa Barbie parlante decida di sfuggire al cliché e ci spiazzi. Parla di femminismo – che audacia! – e noi femministə ci disorientiamo (prima) e ci incazziamo (poi).

Così iniziano a fioccare le critiche, più o meno a stizzite, meglio o peggio argomentate, più o meno fondate ma tutte mirate a ricacciare ‘sta maledetta bionda chiacchierona nel posto che le spetta.

Nel posto che le abbiamo assegnato (proprio come il patriarcato fa con tutte noi).

Il ruolo di genere è uno degli elementi fondanti del potere patriarcale, ma non è l’unica declinazione di ruolo possibile. Esistono tanti ruoli imposti usati da persone che si pensano femministə, è abbastanza facile intuire perché (il nostro modo di pensare si forma alla luce del modo di pensare patriarcale in cui cresciamo) ed è abbastanza difficile riuscire a decostruire l’automatismo (esistono fior di studi neuro-antopo-psico-sociologici che ci dicono che il bias, il pregiudizio, la classificazione a priori sono meccanismi fisiologici del funzionamento della nostra mente; quindi niente paura e niente vergogna: basta solo imparare a riconoscerli!).

La critica più immediata mira alla sua innegabile goffaggine nel maneggiare temi inerenti alla cosiddetta “emancipazione femminile”.

Personalmente trovo più fastidiose le sedicenti femministe dure e pure che non conoscono la storia del pensiero femminista, ma io sono secchiona. D’altro canto, non mi sembra che Ferragni abbia mai cercato di spacciarsi per la nuova Simone de Beauvoir.

È solo una persona, con una certa rilevanza mediatica, che ha deciso di dedicare parte del suo tempo e parte della sua influenza ad argomenti che riguardano la libertà e l’incolumità delle donne.

La sua “performance femminista” non è perfetta? Vero, ma stiamo calmə.

Se potesse parlare solo chi è impeccabile probabilmente finiremmo per stare tuttə zittə. (Ma soprattutto: chi decide cosa è impeccabile e cosa non lo è?)

L’irresistibile tentazione di ridurre tutto a un canone, a un’interpretazione, a una visione del mondo, ci deriva sempre da paparino il patriarcato che forgia i nostri neuroni a misura di recinto. Ma non è forse parte della lotta femminista distruggere il recinto? Non è forse parte della lotta femminista accogliere tutto quello che resta fuori dalla “perfezione”, dalla “normalità”, dall'”accettabilità”?

Ma la critica che ci dà più soddisfazione, quella che ci aiuta meglio a interpretare il nostro personaggio di femministə socialmente e politicamente impegnatə è che Ferragni è ricca.

Come osa parlare di femminismo dall’alto del suo privilegio?

E qui si torna al conoscere o meno la storia del pensiero femminista. (Lo so che risulterò pedante e vagamente ossessionata, ma vi assicuro che andarsi a leggere due biografie mette al riparo da brutte figure come queste.)

Perché sai che c’è? Che le massime pensatrici del pensiero femminista occidentale (e no, ti vedo che scalpiti, non sto dicendo che Ferragni sia una di loro), sono borghesi. Alto- borghesi. Se non ricche, benestanti. Sicuramente colte, istruite, molto spesso sono accademiche.

Qui la questione è un po’ più ingarbugliata e necessita di varie e vaste precisazioni che provo a far stare tutte insieme in uno spazio limitato. La prima: le “massime pensatrici …” fanno comunque parte di un canone. Qualcuno ha deciso che le parole di Simone de Beauvoir fossero degne di essere ricordate mentre le parole di sua cugina Giuseppina no. Perché questa scelta? Deriva solo dalla maggiore incisività delle parole di Simone o Simone partiva avvantaggiata, forte di un qualche tipo di privilegio, sulla povera Giuseppina?

La questione è molto interessante da indagare e da discutere, ma in nessun caso può portare a negare che Simone de Beauvoir abbia scritto di donne e femminismo e che abbia elaborato un concetto importantissimo come quello del “secondo sesso” (concetto che, per altro, non sarebbe meno importante se la gloriosa Giuseppina avesse anche lei scritto di femminismo e non fosse stata abbandonata all’oblio). La butto in caciara, ma la questione è davvero complessa e non interessa tanto Simone de Beauvoir e sua cugina quanto la compresenza nella storia del pensiero femminista di voci maggioritarie, pesanti, occidentali e voci minoritarie, sottovalutate, razzializzate, silenziate, marginalizzate.

In altre parole, una femminista bianca e una femminista nera, non hanno lo stesso peso. Una femminista ricca e una femminista povera non hanno lo stesso peso. Questo è un fatto. La domanda è: la femminista bianca e ricca dovrebbe quindi astenersi dal portare avanti una lotta femminista? Ma anche: la lotta della prima, è la stessa lotta della seconda? Potrebbe esserlo, nella misura in cui chi gode di un privilegio lo riconosca e lo ponga a servizio della lotta di tuttə.

Se proprio dovessi dare un consiglio non richiesto a Ferragni le consiglierei di lavorare un po’ meglio sulla percezione e la comunicazione del suo privilegio, perché, a mio modo di vedere, potrebbe guadagnarne in termini di credibilità.

Ferragni è un’alto-borghese (quasi parte di un’aristocrazia mediatica) che fonda la sua ricchezza sul sistema che critica. È vero, ma chi di noi sedicenti anti-capitalisti non campa grazie al sistema neoliberista in cui vive? Se le critiche al sistema (qualunque esso sia) possono arrivare solo dal di fuori del sistema allora stiamo freschi.

Anche tu che hai lo smartphone e i soldi per le tue mezze sigarette aromatizzate alla vaniglia e il bicchiere di vino cattivo che bevi per strada in mezzo alla movida della tua città sei borghese. Sì, anche se lavori come stagista social media manager per 400€ al mese e indossi ancora le Dr Martens che hai comprato a 15 anni.

Il femminismo intersezionale ci insegna che il privilegio è sempre relativo – nel bene e nel male. Se sei biancə, sei già privilegiatə. Se vivi in Occidente, sei già privilegiatə. Se hai una casa e del cibo da mangiare, sei già privilegiatə. Tutto questo dovrebbe escluderti dalla lotta al patriarcato?

Lasciamo che si parli di femminismo. Lasciamo che se ne parli male, impropriamente, fuori canone. E rallegriamoci che non esista un canone femminista, rallegriamoci che si possa parlare di libertà delle donne mentre si vestono lustrini, rallegriamoci del fatto che si possa essere femministə incoerenti, imperfettə, anormali.

Rallegriamoci che una performance imperfetta, incoerente e disdicevole come quella di Ferragni a Sanremo ci stia portando oggi a parlare di femminismo, di cosa è per noi, di come lo vorremmo. Anche questa è Resistenza, anche questo è parte della lotta.

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