Mi sento un po’ figlia anch’io degli anni ’70, non perché sia nata in quegli anni, ma perché sono figlia di chi quegli anni li ha vissuti da adolescente. E ho sempre vissuto l’adorazione degli anni ’70 e il rimpianto, il racconto di Berlinguer segretario del Partito e Saragat Presidente della Repubblica, poi la parentesi Leone, e finalmente Pertini. Quella politica torbida, un po’ bella e un po’ brutta, il sequestro Moro e il compromesso storico. Mia madre e mio padre mi raccontano delle manifestazioni studentesche e degli operai navali del porto di Palermo, che a quanto pare venivano chiamati a difendere gli studenti se i fascisti rompevano le palle.
Credo che per chi, come me, è nato e cresciuto a ridosso degli anni ’90 e che non ha praticamente mai vissuto l’entusiasmo politico e la voglia di rivoluzione, gli anni ’70, seppur nella loro controversia, rappresentino un modello, un’aspirazione. La figura politica italiana che più mi ha entusiasmato nella mia vita è stato Fausto Bertinotti, e con questo vi ho detto tutto (e sì che gli ho voluto bene, a Faustino).
In Breviario del rivoluzionario da giovane (edito marcos y marcos, 240p.) Bruno Osimo mette insieme tante cose, tutte bellissime ed intensamente poetiche: ci racconta gli anni ’70 così come li ha vissuti lui, da adolescente, ma ci racconta anche la Storia di un Paese, di una cultura, di cambiamenti e rivoluzioni piccole o gigantesche.
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Breviario del rivoluzionario da giovane – l’ironia, l’affetto e il sarcasmo
Bruno Osimo costruisce uno stile narrativo a mio parere impeccabile.
La sua parola scritta trova il raro equilibrio fra l’ironia, il sarcasmo e l’affetto, una nostalgia amara di un periodo importante per la Storia e per l’individuo.
Se ci pensate, quello che fa l’autore in questo libro è qualcosa di davvero complesso: ci parla degli anni ’70, ce ne racconta i particolari più quotidiani e prosaici, li mette a nudo, li ridicolizza. Ma non ce li racconta solo come elementi della vita di un adolescente ma li contestualizza come peculiari di un’epoca. Ci parla di quel tempo attraverso il piccolo e attraverso il grande.
E accanto all’ironia e alla ridicolizzazione di usi e costumi studenteschi dell’epoca si avverte anche un certo affetto e una certa malinconia. Insieme ai capitoli in cui si prende in giro qualcuno o qualcosa, si trovano anche capitoli di intenso lirismo in cui Osimo ci racconta di momenti e amici persi per sempre.
Gli anni ’70 e l’adolescenza
L’adolescenza, vissuta in qualsiasi periodo storico, è un periodo esistenziale complesso e profondamente rivoluzionario.
Pur nella grevità politica dei primi anni 2000, anch’io ricordo la mia adolescenza come portatrice di rivoluzioni e cambiamenti. E anche se il nostro nemico numero uno era la Moratti e la sua riforma della scuola, anche a noi, nel nostro piccolo, sembrava di stare un po’ cambiando il mondo – che poi non lo stessimo realmente facendo, è un’altra storia.
Così mi chiedo, e non riesco a immaginarlo, cosa abbia potuto significare essere adolescenti in anni in cui le rivoluzioni, seppur nella loro dimensione più superficiale e spiccia, erano reali e a portata di mano.
Bruno Osimo non tralascia nulla di quel tempo. Ci racconta del ciclostile e dei cortei, del dormire dentro la scuola occupata, degli amori, delle amicizie, dei vestiti (portatori di serratissimi significati politici), del femminismo e delle droghe, del sesso, del cinema, dei libri, di Milano e dei suoi tram, di Elena Montereale, di Amanda e dei dirigentini, del liceo X di Milano.
Ciò che più suscita in me malinconia però, devo dirlo, è il racconto del rapporto con la politica: anche questo è messo a nudo e ridicolizzato in tutte le meschinità, le superficialità, le contraddizioni, ma anche se massacrata a colpi di ormoni e grossolanità adolescenziali, la politica era lì ed era importante.
Leggere un libro come questo, in questo periodo storico, ha a mio avviso un valore fortissimo di identificazione culturale: veniamo tutti da lì, chi più chi meno, chi da un lato chi dall’altro della barricata. E poi qualcosa si è perso per strada, ci hanno abituati a credere che la politica sia solo un fatto di soldi, meno tasse per tutti e passa la paura. Ci hanno raccontato barzellette, hanno firmato e sottoscritto promesse al popolo. Ma le idee, le idee politiche, dove sono finite?
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Beh sembra interessante soprattutto perché tratta il periodo storico con autoironia. Me lo appunto
Poi ti dirò