Il femminismo pop uccide il femminismo?

il femminismo pop

Qualche tempo fa mi aggiravo per l’internet e mi sono imbattuta in un articolo di Bossy, a firma di Elisa Sanguineti, dal titolo Perché il femminismo deve ancora essere chiamato femminismo.
L’ho letto e l’ho commentato, e quel commento, che vi riporto qui sotto, mi ha fatto capire che forse avrei potuto spendere anch’io, nel mio piccolo, due parole sull’affaire femminismo.

Le parole sono importanti? Ni. Le parole sono convenzioni, possiamo cambiarle se questo ci fa stare meglio, l’importante è metterci tutti d’accordo sul significato che attribuiamo loro. Ultimamente inizio ad avvertire un po’ di orticaria per la parola femminismo, perché ad un livello estremamente “pop”, femminismo significa perpetrare gli stessi schemi del capitalismo maschilista, solo indossando una gonna corta e facendo aperitivo con le amiche. Non è importante che lo chiamiamo Femminismo, Lotta di tutti gli oppressi o Pippo, l’importante è che passi il messaggio che c’è tutto un sistema che non va bene e che va scardinato e non lo scardineremo di certo vestendo gonne sgargianti e dicendo che noi, comunque, siamo molto indipendenti. Proprio il femminismo intersezionale dovrebbe farci riflettere sul fatto che forse è arrivato il momento di smetterla di settorializzare le lotte e di capire che è un’unica lotta. Se sono donna e sono nera e sono gay? Devo partecipare a tre “cortei” (inteso in senso figurato) diversi? E’ tutto lo stesso corteo, io penso.
Cafonissima autocitazione del commento che ho lasciato sotto l’articolo di Bossy

Il femminismo pop uccide il femminismo?
[Fonte: commons.wikimedia.org/wiki/File:Feminism_is_the_fashion_spain.jpg]

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Il femminismo ha una lunga storia alle spalle, una storia che va studiata e che va capita. Non possiamo dirci femministi, a mio avviso, se non sappiamo chi siano state Mary Wallstonecraft o le suffragette.

Conoscere la storia del movimento, anche a grandi linee, ci fa capire da dove siamo partiti e a che punto siamo adesso.

Non è questa la sede per una lezione di storia del femminismo, ma credo sia fondamentale tenere a mente le fasi che il movimento ha affrontato:

  • la cosiddetta First wave, la prima ondata, fra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. La lotta era incentrata su l’uguaglianza sociale, la richiesta principale era estendere il diritto di voto alle donne (in Italia, venne concesso solo nel 1946).
  • la Second wave, la seconda ondata, nasce negli Stati Uniti intorno al 1960. Apre il dibattito e non si concentra più solo sul diritto al voto, ma anche su altri temi legati alla vita della donna come la sessualità, la famiglia, la maternità, i diritti riproduttivi.
  • la Third wave, la terza ondata, è giovanissima, si sviluppa a partire dagli anni ’80/’90 e viene portata avanti soprattutto da donne facenti parte di minoranze, come le afroamericane, le lesbiche, le donne disabili. Il dibattito si addentra nella struttura della società stessa, che sebbene abbia accordato alcune richieste femministe, continua a marciare nella sua direzione bianca, patriarcale, capitalista.

Il femminismo pop uccide il femminismo? Luisa Accatti
Nella foto, Luisa Accatti, esponente del femminismo di terza ondata in Italia [fonte: commons.wikimedia.org/wiki/File:Accatti.jpg]
Il movimento femminista ha quindi avuto una sua storia e una sua evoluzione e oggi si trova in una fase ben determinata del suo percorso. Ciò nonostante, proprio in questi anni, si sta diffondendo un femminismo diverso, molto frivolo, molto scenico, quasi un femminismo che è partito per la tangente e non si capisce dove si stia dirigendo.

Il femminismo pop uccide il femminismo leggi anche milk and honey vorrei che il femminismo fosse altro

Non sono contraria, questo voglio che sia chiaro. Apprezzo certi tentativi di media come, ad esempio, Freeda, che parlano alle donne in modo poco impegnativo ma che tentano ugualmente di far passare concetti importanti.

Ciò che mi concerne è che forse quei concetti, quelle idee sul femminismo, siano delle idee stereotipate, legate al sentito dire, legate a quello che si sa del femminismo e cavalcate con la massima ignoranza da parte dei lettori e delle lettrici.



Il femminismo pop è fondamentalmente un’idea estrapolata, per banalizzazione, dal femminismo della seconda ondata: donne che rivendicano la propria indipendenza dall’uomo, che si vestono come gli pare, che vanno dove gli pare, che fanno il lavoro che gli pare e soprattutto, cosa di massima importanza, non si rasano gambe e ascelle. E’ un discorso validissimo, per carità, ma solo e unicamente se si accompagna a un discorso sul cambiamento dell’intero sistema. Se una donna assume gli stessi atteggiamenti nocivi di un uomo maschilista, a mio modesto parere, non siamo andati molto lontano.

A questo si aggiunge poi un altro problema: il femminismo pop, questo femminismo della banalità, va molto di moda al momento. Per questo motivo lo troviamo spesso impastato ad altro, a tutt’altro: al marketing, ad una comunicazione ammiccante creata ad hoc da brand che puntano ad un target femminile.

Il femminismo pop uccide il femminismo? Maglia femminista Dior
Maglia femminista creata da Dior, dal titolo di un discorso di Chimamanda Ngozi Adichie per Ted talks [fonte: www.luukmagazine.com/we-should-all-be-feminists-la-t-shirt-femminista-di-dior-conquista-le-star/]

Per la collezione Primavera 2017, Dior lancia questa maglia, ad esempio. We should all be feminist, dovremmo tutti essere femministi. Ma in cosa si risolve il femminismo di Dior? Cosa ha fatto Dior per la lotta femminista, politicamente parlando? Ha venduto magliette. Ha venduto magliette all’interno di un sistema capitalista e patriarcale. Ha forse fatto qualcosa per scardinare il sistema capitalista e patriarcale? No, ha solo venduto magliette.

Non voglio fare l’estremista, ed è per questo che la domanda che ho scelto come titolo di questo post non è una domanda retorica, è un qualcosa che mi chiedo realmente.

Il femminismo accademico, chiamiamolo così, quello dei docenti e delle docenti universitarie, dei filosofi e delle filosofe, dei sociologi, antopologi e tutti i -logi e -loghe che ci possono venire in mente è arrivato ad un punto in cui ci si chiede se sia davvero giusto denominare Femminismo una lotta che non dovrebbe appartenere ad un gruppo chiuso, classificato in base al genere sessuale, ma dovrebbe essere la lotta di tutti contro un sistema che si basa da tempo immemore sul dualismo oppressore/oppresso.

Il femminismo pop uccide il femminismo? Suffragette
Campagna denigratoria contro le suffragette, inizio Novecento. [fonte: www.socialup.it/le-vignette-satiriche-anti-suffragette/]
D’altro canto, il femminismo pop, ha preso tutt’altra strada, o forse è solo rimasto un po’ indietro. Si è abbarbicato sull’idea che la lotta femminista sia la lotta per il corpo, per l’indipendenza, per le pari opportunità e porta avanti questa lotta molle, frivola, senza nessun impeto politico e senza nessuna reale volontà di cambiamento.

Basta che se ne parli o se ne deve parlare con cognizione? Non lo so, non so darmi (e darvi) una risposta.

Se da un lato penso che se non si ha la piena consapevolezza di quella che sia e sia stata fino ad ora la lotta femminista, parlarne significhi solo dar aria alla bocca, dall’altro penso che forse il femminismo accademico è davvero troppo distante dalle persone comuni.

femminismo
[Fonte: Wikimedia]
E’ forse il segno di uno scollamento fra un femminismo borghese e uno popolare?

Se, mentre si discute del genere come un qualcosa di attribuito culturalmente e quindi affatto determinante per le nostre sorti e le nostre vite, c’è ancora moltissima gente che crede che essere femministe significhi uscire la sera con le amiche e senza i mariti, allora qualcosa è andato storto.

La domanda allora è: dove, quando ma soprattutto perché è avvenuto il cortocircuito?



 

NOTE & DISCLAIM

  • Foto di copertina di Alexa Mazzarello su Unsplash
  • Questo post non è stato sponsorizzato dalle Femministe Libere, Indipendenti e Repubblicane.



5 risposte a “Il femminismo pop uccide il femminismo?”

  1. Grazie per questo articolo. Mi trovi completamente d’accordo con te. Hai espresso il tutto in modo chiaro e hai messo in luce una questione niente affatto scontata: è un periodo in cui sembra che il femminismo vada quasi di moda, ma così diviene qualcosa di spicciolo e privo del valore effettivo; o forse sarebbe opportuno dire che il femminismo pop, rispetto al femminismo accademico, è decisamente un’altra cosa.

  2. Il problema di base è lo stesso che provoca molto male nella società: la superficialità delle persone. Da quella puoi dedurre come anche il femminismo spesso assuma tratti banali. Io penso che una spinta ci debba essere (esempio: le maglie di Dior che danno un input, mandano un messaggio; nonostante anche io disapprovi la società dei consumi quindi magari mi compro una maglia e ce lo scrivo da sola, per dire ). Però si dovrebbe partire dai livelli delle persone comuni per poi approfondire. Ma il problema che la profondità non è una caratteristica presente a grandi quantità nella nostra società. È lì il problema. Perché a me può piacere Freeda ma conosco anche Mary Wollstonecraft 😉

  3. Articolo molto interessante che da spunti di riflessione.
    Al giorno d’oggi ci si riempie spesso la bocca per farsi belli e sembrare “impegnati” in qualcosa, ma scavando si scopre che quasi sempre il pensiero che viene sposato, non si affianca mai ad uno studio di cosa ha creato una corrente o un modo di pensare.
    E’ la mancanza di conoscenza che credo crei cortocircuiti in molti campi purtroppo.

  4. Molto interessante quello che scrivi. Una cosa che credo sia doveroso fare è distinguere il femminismo da paese a paese, oltre che ondate. Mi hai fatto venire voglia di tornare a ristudiare la cosa. Grazie.

  5. Hai scritto un ottimo post, ribadendo le basi da tenere presente quando si pronuncia questa parola davvero inflazionata, e sollevando le stesse criticità che sento anch’io.
    Sulla maglietta di Dior, ad esempio, non so rispondere. Mi verrebbe da dire come te, che Dior alla fine con questa mossa non fa nient’altro che fare soldi, e a me personalmente viene solo da storcere il naso; ma se invece, come ti hanno già risposto qui sopra, per qualcuno che si trova davanti una maglietta di quel genere, potesse essere davvero un elemento, un piccolo input, per riflettere da punti di vista diversi? Non so. Oggi il mondo è troppo molteplice perché io riesca a capirlo.
    Prendiamo Freeda, ad esempio: proprio ieri mi hanno girato questo link, che ti copio qui, e che rientra perfettamente nel discorso da te sollevato, quello di un messaggio formalmente femminista, ma in realtà diffuso dagli stessi fautori di quel sistema economico capitalista e dalla dinamica “oppressore-oppresso” dentro al quale vuole guadagnare nuove fette di mercato “più moderne”, “pop”. Non so.
    https://www.dinamopress.it/news/ecco-cosa-ce-dietro-freeda/

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