Mi rendo conto che Shakespeare non è proprio una letturina estiva. Tanto meno il suo Giulio Cesare. Ma proprio ieri ho stilato una lista di tutti i post che devo ancora scrivere e, dal momento che in agosto il blog andrà in pausa, ho diviso quei post fra alcuni da far andare online entro luglio e altri da far andare online al rientro, a settembre.
Gli altri post che vedrete in queste ultime settimane di luglio saranno su libri, non dico leggeri, ma estivi. Ma questo, questo su Giulio Cesare volevo proprio scriverlo adesso.
In questo post ho deciso di focalizzare l’attenzione su un tema molto affascinante presente all’interno dell’opera, ossia quello della responsabilità del potere politico. Onde evitare di dilungarmi troppo escluderò completamente dalla discussione un personaggio che è però molto importante per l’opera stessa (e anche per quelle future, oserei dire) che è Marco Antonio. Se volete approfondire un po’ la cosa (oltre a tutti gli studi del mondo fatti da gente molto più autorevole e preparata di me) potete guardare il video che inserisco di seguito nel corpo del post.
– TEMPO DI LETTURA 3 MINUTI –
Partiamo dall’essenziale, la trama – ma forse, ancora più essenziale, il protagonista
Giulio Cesare è una tragedia storica di William Shakespeare scritta intorno al 1600.
Collocare storicamente la stesura di quest’opera è molto importante perché, come sempre, il caro Will prende spunto da avvenimenti accaduti tanti secoli prima per parlarci della sua contemporaneità e, infine, anche della nostra.
Giulio Cesare è all’apice della sua fortuna, rientra a Roma trionfante dall’Egitto, ha vinto tutto lui. La preoccupazione di chi sta lì a Roma ad aspettare il suo ritorno trionfale è che Cesare, adesso, sia troppo potente, che Cesare possa diventare un tiranno. E allora organizzano la congiura: alcuni degli uomini che più sono stati e sono ancora legati a Cesare non solo dal punto di vista politico ma anche affettivo ed emotivo decidono che il miglior futuro che si possa prospettare per Roma è un futuro in cui Cesare non c’è, e decidono di ucciderlo.
Il personaggio di Bruto è messo in evidenza rispetto a tutti gli altri in quanto eroe scisso: come il caro Amleto, solo qualche anno più tardi, si chiederà se è bene reagire o lasciarsi andare in balia del destino, in Giulio Cesare Bruto si chiede se deve uccidere il padre adottivo per evitare l’instaurarsi della dittatura a Roma o se deve seguire il suo cuore e non uccidere una persona a cui è così tanto legato.
La scena dell’uccisione di Cesare è una baruffa, tutti i congiurati partecipano ma l’ultimo ad accoltellare il dittatore è Bruto, suo figlio adottivo.
Dopo l’uscita di scena di Cesare viene naturale chiedersi chi veramente sia il protagonista di quest’opera: Shakespeare intitola la tragedia a Giulio Cesare ma lui è descritto come un personaggio piccolo, molto meno eccezionale di quanto ci si potrebbe aspettare e poi lo fa morire quasi subito (e in effetti le battute di Cesare sono molto meno rispetto a quelle di altri personaggi dell’opera). Allora forse il vero protagonista è Bruto perché attraverso il suo personaggio Shakespeare riesce a declinare un pensiero sulla politica di tutti i tempi, antichi o contemporanei che siano: è giusto sacrificare il bene di un singolo o di pochi per il bene della comunità?
L’abuso di grandezza si avvera quando essa disgiunge la tenerezza d’animo dal potere…
(Bruto – atto II, scena I)
[fve] https://www.youtube.com/watch?v=9cuSMDxMtss[/fve]
E’ giusto sacrificare il bene di un singolo per il bene della comunità?
Tutto questo mi fa pensare ad un bellissimo film di qualche anno fa, di quello che è forse il mio regista italiano preferito, con quello che è forse il mio attore italiano preferito: Il Divo.
Il Divo è un film di Paolo Sorrentino con Toni Servillo che interpreta un meraviglioso Andreotti (meraviglioso per l’interpretazione, Andreotti continua a farmi abbastanza senso nonostante la dipartita). In quello che io reputo il momento più alto del film, il monologo in cui Andreotti si rivolge alla moglie Livia, c’è una bellissima riflessione sul ruolo della politica ma soprattutto sulla responsabilità della politica. Andreotti dice che la verità è la fine del mondo (in senso negativo) è che tutto deve essere fatto per evitare la fine del mondo.
Il personaggio di Andreotti, forse anche per la sua vicinanza cronologica, porta con sé valenze assai più negative di quelle di Bruto ma in soldoni ciò di cui si discute è del valore della singola vita umana. Andreotti ha indirettamente sacrificato decine e decine di vite umane pur di far stare in piedi un Paese che altrimenti, forse, non sarebbe rimasto in piedi. Così fa anche Bruto.
Mi sentivo molto a disagio, in realtà, a portare avanti questo parallelismo così ho parlato con mia madre e le ho chiesto: “Mamma, ma secondo te, perché se penso a Andreotti o a Bruto in relazione a un discorso sul bene comune, col primo assume una valenza negativa e col secondo una positiva?”. La risposta di mia madre mi ha molto illuminato sulla questione: la differenza sta tutta nell’obiettivo che si le azioni si prefiggono. Sacrificare il singolo per la comunità per apportare una modifica e un’evoluzione a favore della comunità stessa versus sacrificare il singolo per mantenere lo status quo.
E’ una di quelle situazioni in cui non sono sicurissima di essere d’accordo con me stessa.
[…] gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea, non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese […]
(Il Divo, Paolo Sorrentino)
I tempi di Shakespeare, i nostri tempi
A Shakespeare piace tanto raccontarci di una cosa ma in realtà parlarci di tutt’altro.
Oltre alla riflessione sulla responsabilità del potere, Shakespeare ci parla di qualcos’altro nel suo Giulio Cesare: ci parla di una situazione politica instabile, di un popolo che non sa più se ha o non ha una guida e dunque, non sa in quale direzione stia camminando. Se state pensando all’Italia di oggi e a Renzi, Grillo e l’highlander Berlusconi sappiate che non siete strani e non siete i soli: in realtà Shakespeare ci parla dell’Inghilterra dei primi anni del Seicento, un’Inghilterra che per quarant’anni era stata guidata da Elisabetta I, fortissima e implacabile regina che però, in quegli anni, è ormai molto anziana e vicinissima alla morte – sarebbe poi morta nel 1603. Elisabetta un successore non l’aveva ancora designato – e non lo designerà che sul letto di morte – non aveva figli né nipoti, il trono non aveva eredi, l’Inghilterra non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei.
Così quel periodo di incertezza politica si riversa fra le righe scritte dal caro Will che con la sua solita maestria e – come chiamarla? – lungimiranza (?) riesce ad estendere le proprie opere dal particolare al generale e a parlare a tutti gli uomini di tutte le epoche storiche.
Non so quel che pensiate, tu ed altri, di questa vita, ma, per conto mio, meglio vorrei non essere mai nato che viver nel terrore d’un mio simile, d’un uomo in carne ed ossa come me.
(Cassio – atto I, scena II)
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Giulio Cesaredi William Shakespeare ed. Feltrinelli 229 pagine (testo a fronte) 8€
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