Venendo dalla lettura di un crogiolo di complicatezza esistenziale come La stanza di Therese di Francesco D’Isa non posso che apprezzare la semplicità di Avrò cura di te di Gramellini e Gamberale (edito prima Longanesi e poi TEA): come dice il buon angelo Filèmone, coprotagonista del romanzo (e Calvino prima di lui), leggerezza non è sinonimo di superficialità e solo i superficiali scambiano la pesantezza per profondità.
Ecco, questo libro è lieve e profondissimo.
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La trama (e la potenza dei sentimenti comuni).
In Avrò cura di te Gramellini e Gamberale ci raccontano la storia di una donna, Gioconda e del suo improbabile scambio epistolare col suo angelo custode, Filèmone.
Giò sta uscendo da una storia d’amore finita male. Ha avvertito un dolore, un’insoddisfazione, ha agito di conseguenza e la storia è finita. Adesso vive i sensi di colpa, vive il e se non mi fossi comportata così. Compito di Filèmone è farle capire che va bene così.
Che è tutto a posto, che va bene anche comportarsi male a volte perché spesso, il nostro comportarci male, non è altro che la nostra risposta inconscia a una domanda, a un problema, un disagio.
Avete pregiudizi su Gramellini?
Ricordo la furia con cui un – a quanto pare – promettente scrittore emergente, per altro mio conterraneo, che ho avuto il piacere di conoscere qualche anno fa, si scagliava contro Gramellini, prendendolo come esempio balenante della crisi del giornalismo italiano e dei contenuti in generale.
E’ vero, Gramellini, ad uno sguardo superficiale potrebbe dare proprio quell’impressione lì. Un giornalista buono, bonaccione e buonista che ha speso gli ultimi anni della sua carriera a rispondere alla posta del cuore.
Ma se si va poco oltre il primo banalissimo giudizio senza analisi che potrebbe dare chiunque ma ci si sofferma a leggere veramente ciò che scrive Gramellini ci si rende presto conto che di buonista, di superficiale, nella sua scrittura non c’è proprio nulla.
E nell’impresa di parlare di una cosa così semplice e a portata di mano come i sentimenti umani si fa accompagnare da un’altra penna a mio avviso sottovalutata del panorama letterario italiano: Chiara Gamberale.
Ascoltami meglio, Giò: la distanza e la gelosia deformano la percezione dei sentimenti. Ti manca l’iPud Leonardo [ ex di Giò – ndr ] o la sensazione di possederlo in esclusiva? Ti sei già dimenticata che quando era tuo lo sbatacchiavi contro tutti gli spigoli e spesso non ricordavi nemmeno dove lo avevi lasciato?
E della Gamberale, cosa ne pensiamo?
Anche lei. Mhm, leggerina. E che ben venga questo tipo di leggerino! Quel leggerino che ti parla di una cosa così banale e superficiale come l’amore che, guarda un po’, è una delle pochissime cose che accomuna tutti, che ci rende tutti simili.
Sfido il caro scrittore emergente conterraneo a negare di aver mai sospirato per amore. Di non aver mai fatto tutte le cose più banali e sdolcinate che abbiamo fatto tutti e di cui un po’ ci vergogniamo.
Gamberale e Gramellini ci dicono proprio questo: non ti vergognare.
Non ti vergognare se hai sospirato per amore, se hai fantasticato sul collega della scrivania accanto pur avendo un compagn*, se ti sei ritrovato sol* e sperdut* dopo una brutta delusione. Se hai tradito. Non ti vergognare della tua banalissima umanità.
Perché siamo tutti lì, dentro quel calderone, a sguazzare dentro le nostre imperfezioni.
La forza di questo libro, a mio avviso, sta proprio nel fatto di metterci a nostro agio, nel trasmetterci l’idea che, in amore, nessuno sa già com’è giusto comportarsi, che può capitare di fallire, di ferire chi ci ama e che è perfettamente normale, dolorosissimo, atroce, ma perfettamente normale.
La leggerezza non è parente della superficialità, a differenza di quanto sostengono i superficiali che scambiano la pesantezza per profondità di pensiero.
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Avrò cura di tedi Massimo Gramellini e Chiara Gamberale ed. Longanesi 186 pagine 8,50€ – 3,99€ (ebook)
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