Ritornare per scelta o per costrizione? | Il secondo ritorno, Giuliano Gallini

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Proprio ieri (che per voi, che leggerete questo post giovedì, è tre giorni fa) sono stata all’anteprima blogger qui a Milano de Il secondo ritorno di Giuliano Gallini, edito Nutrimenti.

Quando sono stata contattata dalla casa editrice mi sono subito resa disponibile perché una caratteristica del libro mi ha particolarmente solleticata: si tratta di una riscrittura. Il secondo ritorno, è infatti un rifacimento in chiave moderna de Il ritorno di Joseph Conrad che avrete visto nei giorni passati sui miei social (proprio perché, per prepararmi all’incontro l’ho preso in prestito e ne ho riletto una buona parte). In questo post vorrei sostanzialmente perseguire tre obiettivi distinti: parlarvi di Conrad e de Il ritorno, parlarvi de Il secondo ritorno, riferirvi del dibattito fra noi blogger e l’autore avvenuto durante l’incontro. Partiamo!

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– TEMPO DI LETTURA 4 MINUTI –

Il ritorno di Joseph Conrad è un racconto atipico per l’autore polacco: Cornad, ex capitano di marina, divenne famoso per i suoi romanzi più o meno indirettamente ispirati alle sue avventure per mare. Attraverso i suoi romanzi Conrad ci parla di molti argomenti fra cui la colonizzazione e la percezione e la paura dell’Altro-da-sé (in genere, un uomo africano brutto, sporco e cattivo). Ne Il ritorno, ci parla invece di una borghesissima coppia inglese e della loro vita di società.

Pubblicato per la prima volta nel 1898 insieme ad altri racconti, Il ritorno è la brevissima storia di una coppia, i coniugi Hervey, e della decisione della moglie di abbandonare il tetto coniugale.

All’inizio del racconto, Conrad colloca chiaramente la coppia all’interno di una gabbia sociale piuttosto asfissiante ed esigente:

Era una cerchia molto affascinante, sede di tutte le virtù, dove non ci si accorge di niente e dove tutte le gioie e i dolori vengono prudentemente attenuati al livello di diletti e fastidi. In quella regione serena, poi, dove i sentimenti nobili sono coltivati con profusione sufficiente a dissimulare lo spietato materialismo di pensieri e aspirazioni, Alvan Hervey e sua moglie trascorsero cinque anni di prudente beatitudine non offuscati da alcun dubbio sulle qualità morali della loro esistenza.

Il ritorno, Joseph Conrad, ed. Il sole 24 ore (2012), trad. F. Di Biagi

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Il Conrad che ritroviamo come personaggio all’interno de Il secondo ritorno ci mostra tutto il tormento di questo racconto: nessuno voleva pubblicarlo e l’autore si preoccupò moltissimo di lavorare e rilavorare il testo pur di farlo andare in stampa.

La storia dei coniugi Hervey è una storia sociale: entrambi strettamente compressi nel sistema di regole e convenzioni sociali all’interno del quale si sono rinchiusi (o all’interno del quale era necessario o addirittura inevitabile rinchiudersi…) vivono una vita descritta come opprimente ma deliziosamente appagante.

La moglie, come dicevo, un giorno scrive una lettera al marito e va via di casa. Ma ci ripensa e allora torna, sperando che il marito non abbia ancora letto il suo messaggio. Il marito l’ha letto e da questo scaturisce un lungo confronto estenuante (che prende buona parte del racconto) in cui il marito la interroga sulle ragioni della sua fuga e lei, rispondendo a monosillabi, di fatto, non risponde.

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Una delle domande emerse anche ieri in sede di dibattito è: perché la moglie torna? Cosa le fa cambiare idea nel giro di così poco tempo?

La risposta che mi sono data è: perché, fuori da quella casa e da quell’esistenza, non ha trovato niente.



Il secondo ritorno di Giuliano Gallini è ambientato ai giorni nostri, a Milano. Più o meno stessa situazione, una coppia, molto borghese, molto stabile, sono in crisi ma non sanno di esserlo. La differenza però, qui, sta nel punto di vista: ne Il secondo ritorno conosciamo perfettamente le ragioni che spingono la protagonista a lasciare il compagno, perché ci vengono raccontate chiaramente. E poi, anche qui, un ripensamento, un ritorno.

Alla trama contemporanea viene intrecciata una trama in cui Conrad è protagonista: è il 1897, Cornad vive a Stanford-le-Hope con la moglie Jessie e la domestica Fannie e sta cercando qualcuno che voglia pubblicare Il ritorno. Nel frattempo, una donna scompare dal paese e tutti si chiedono se sia semplicemente andata via o se sia impazzita e si sia data la morte da sola.

Mi è piaciuto molto il gioco di rimandi fra il racconto di Conrad e questo libro, in entrambe le sue linee temporali: da un lato Conrad, una sua giornata tipo inserita all’interno di un contesto temporale particolare, ossia, appunto, il periodo in cui lavora a Il ritorno; dall’altro la storia contemporanea di Agnese che lascia Leo e la loro vita comune che ripercorre idealmente ciò che succede fra i coniugi Hervey, ma lo ripercorre anche di fatto, perché proprio in quel periodo Agnese, che è una regista, sta preparando uno spettacolo sul racconto di Conrad.

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A sinistra: l’autore, Giuliano Gallini.

Ne Il ritorno di Conrad il discorso è chiaramente incentrato su quella che ho chiamato la gabbia sociale: quando Alvan Hervey realizza che la moglie è andata via si dispera, ma si dispera non tanto per l’abbandono affettivo, quanto per quello che penseranno gli altri di lui, abbandonato. Si dispera così tanto da pensare che avrebbe preferito che fosse morta, almeno così sarebbe stato solo vedovo e non abbandonato.

Anche ne Il secondo ritorno la gabbia sociale è pressante: la decisione di Agnese di andare via scaturisce da un momento di cambiamento nelle loro vite, Leo sta per firmare un contratto che li renderà più ricchi, più stabili, più facoltosi. Ed è proprio alla luce di questa futura stabilità che Leo insiste per avere un figlio, un figlio che Agnese non vuole ma che si sente quasi costretta ad avere.

Il dibattito che si è creato fra noi blogger e l’autore è stato molto bello. Inevitabilmente il discorso sul genere è venuto fuori, e di questo non posso che essere contenta. 

Ci siamo detti molte cose su queste donne che tornano, alcune le abbiamo condivise, altre no.

Per esempio, ad un certo punto è saltato fuori un discorso in cui si sosteneva (se non ho capito male) che la donna torna perché ha una sorta di responsabilità esistenziale (che l’uomo non ha) che la obbliga a tener tutto in piedi da sé – e no, lì ho avuto un attacco di orticaria.

Dal mio punto di vista il tema più interessante è stato quello della scelta: ad un certo punto ho chiesto ma lei va via, in quanto donna o in quanto essere umano che ha bisogno di una fuga? O meglio, posta in altri termini, se fosse stato il contrario, se fosse stato l’uomo ad andar via, come sarebbe finita?

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Da qui si torna a Il ritorno di Conrad, in cui, come ho detto ieri durante il dibattito, credo ci sia una trattazione – volontaria o involontaria che sia – di una sorta di colonialismo di genere: così come il colonizzatore arriva, spazza via tutto ciò che trova e ricopre tutto con la propria cultura così l’uomo ha riempito tutti gli spazi della società, così che al di fuori di quella, non è rimasto altro.

La moglie di Hervey lascia la casa e la gabbia sociale ma si accorge che al di fuori di quella costrizione non c’è, per lei, un futuro. Non si tratta di una liberazione, bensì di scegliere fra un’oppressione conosciuta e una sconosciuta.

Quindi, questa donna, è in fin dei conti una debole che torna indietro e reprime ogni ribellione o è solo determinata a sopravvivere, nonostante tutto?



 

NOTE & DISCLAIM

  • Il libro Il secondo ritorno di Giuliano Gallini mi è stato gentilmente regalato dalla casa editrice.



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