Cosa faresti se tuo fratello due settimane fa avesse lasciato il vostro paese d’origine e da allora non avessi più avuto sue notizie? Andresti a cercarlo, ecco cosa faresti.
Il problema più grande è che questo, noi, non ce lo chiediamo mai. Stiamo lì inebetiti a fissare gli schermi dei nostri televisori, ci dicono “Oggi ne sono morti 117” e noi ripetiamo ne sono morti 117 di volta in volta stupiti, dispiaciuti, quelli senza coscienza compiaciuti.
Questa foto è di Elena Spadafora. Se vuoi usarla prima chiedi: amaranthinemess@gmail.comLeggere Naufraghi senza volto di Cristina Cattaneo è un pugno alla bocca dello stomaco, ad ogni pagina.
Il compito straordinario che questo libro riesce a svolgere è ridare umanità ad un concetto, quello di migrante, al quale guardiamo ormai con indifferenza e insofferenza, perché abbiamo creduto a qualcuno che ci ha detto che vengono qua a rubarci il lavoro.
I migranti non sono una minaccia, e chi meglio di un cadavere, un corpo morto, inerme, vittima del suo stesso migrare, può dimostrarcelo?
Ognuno racconta il proprio vissuto, la propria sofferenza, ma sempre attraverso il filtro di chi ce l’ha fatta. Anche il più atroce racconto ha un tono diverso, se è riportato da un sopravvissuto. La vera angoscia e l’orrore del viaggio li possono raccontare solo i morti.
Naufraghi senza volto, Cristina Cattaneo, Corina Editore (2018)
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Naufraghi senza volto | Chi è Cristina Cattaneo e cosa fa
Cristina Cattaneo è una docente di Medicina Legale e un’antropologa forense dell’Università di Milano. È anche l’autrice di Naufraghi senza volto, un libro, edito Raffaello Cortina, a metà fra il documentario e il diario personale in cui l’autrice ci racconta in cosa consiste il suo lavoro e quale piega ha preso da qualche anno a questa parte.
Un antropologo forense si occupa di studiare i cadaveri al fine di identificarli e di raccogliere altre informazioni (come la causa della morte).
In Naufraghi senza volto Cristina Cattaneo introduce il racconto dell’identificazione dei migranti morti partendo dal presupposto che è già difficile identificare un cadavere di un italiano ritrovato in Italia.
Lo è perché il sistema è inadeguato e spesso i rilievi fatti su un corpo trovato a Roma non possono essere incrociati con una denuncia di scomparsa sporta, per esempio, a Genova.
Il Laboratorio diretto da Cristina Cattaneo, il LABANOF, lavora da anni proprio su questo: creare un database adeguato a incrociare i dati di chi viene trovato morto e di chi viene cercato come ancora vivo.
Detto questo: quanto può essere ancora più difficile incrociare dati post mortem e dati ante mortem se di mezzo c’è il mare, la fuga, la mancanza di documenti, l’impossibilità di collaborare con i paesi di provenienza di queste persone? Molto più difficile.
Naufraghi senza volto | Il sollievo di saperti morto
Cristina Cattaneo ci racconta che il primo tentativo di identificare i corpi dei migranti morti in mare avviene in un incontro con i parenti il primo ottobre 2014, in seguito al naufragio del 3 ottobre 2013, in cui morirono 600 persone (di cui solo 366 cadaveri recuperati dal mare).
Una pila di album fotografici bianchi ad attendere persone venute da tutta Europa con fotografie, spazzolini, ciocche di capelli: se va bene riescono ad identificare il proprio caro dalla foto che è stata fatta al cadavere una volta recuperato. In ogni caso l’identificazione deve essere verificata attraverso le analisi genetiche, odontoiatriche, ossee.
[…] da lì si iniziò, seppur molto lentamente, a pensare ai loro morti come ai nostri.
Naufraghi senza volto, Cristina Cattaneo, Cortina Editore (2018)
Paradossalmente l’accertamento della morte porta sollievo: aiuta ad elaborare il lutto, in primis, e assolve a tutta una serie di funzioni emotive, psicologiche e, non ultimo, burocratico-amministrative.
Per esempio: c’era un uomo, in Canada, che sapeva per certo che la sorella fosse morta in mare, ma senza l’identificazione e quindi senza un certificato di morte, non avrebbe potuto tornare in Somalia a prendere il nipotino e adottarlo legalmente.
Il mancato riconoscimento e quindi la mancanza di una conferma di una morte praticamente certa lascia sbigottiti, tristi, e non solo i parenti delle vittime ma anche gli stessi tecnici del LABANOF:
Lo vidi uscire dalla porta lento, con le spalle basse, e mi sentii altrettanto sconsolata. Aveva fatto tanta strada per avere almeno la certezza della sua morte. Non riuscire a dargliela sembrava l’ennesima beffa.
Naufraghi senza volto, Cristina Cattaneo, Cortina Editore (2018)
Leggendo Naufraghi senza volto ci si imbatte in tanti racconti come questo: c’è l’ormai noto caso del ragazzo con la pagella cucita addosso, c’è l’episodio della terra, un grumo di terra africana cucito dentro la stoffa di una maglietta, ci sono racconti più crudi, che ci danno la misura dell’orrore di una morte in mare (le innumerevoli falangi trovate sul fondo del Barcone di Melilli, ad esempio).
Naufraghi senza volto | Il Barcone
18 aprile 2015, quasi 1000 morti a largo della Libia. Il Barcone, un peschereccio adatto al trasporto di poche centinaia di persone, si inabissa, portando a fondo i suoi passeggeri. Il Barcone e i corpi in esso custoditi verranno recuperati soltanto un anno dopo.
Era solenne, quasi fiero anche se ferito a morte, ma era riuscito a proteggere i corpi che da oltre un anno riposavano nel suo ventre, e ora veniva per passarceli in custodia […]. I militari, al suo passaggio, salutarono e si fecero il segno della croce. Ora toccava a noi.
Naufraghi senza volto, Cristina Cattaneo, Cortina Editore (2018)
Per riuscire ad identificare quanti più cadaveri possibile di quelli stipati nel ventre del Barcone, viene allestito, presso la base NATO di Melilli, un hangar del tutto dedicato al lavoro del LABANOF.
Cristina Cattaneo descrive quei giorni di attesa e poi i giorni del lavoro di catalogazione di fotografie e reperti con una commozione tangibile: ci racconta di sé, di Cristina, lì chiusa in quella base NATO, in attesa di quei corpi, in attesa di assolvere ad un compito delicatissimo, carico di responsabilità e solennità.
La base di Melilli diventerà la sua casa, e ci racconta, fra le ultime, commoventi righe del libro, che sente un po’ di appartenere a quel posto.
Finito di leggere il libro ho scritto a Cristina Cattaneo. Magari la mia mail si perderà fra le tante che riceverà, magari le ho scritto solo banalità, non importa: ho sentito il bisogno di ringraziarla perché il suo lavoro è eccellente, da un punto di vista scientifico, sì, ma soprattutto da un punto di vista umano.
Naufraghi senza volto | Una riflessione su tutta l’umanità che muore
Mentre scrivo questo post c’è la tv accesa, dall’altra parte della stanza, e io ascolto distrattamente il tg della sera. Oggi c’è stato un altro naufragio. Oggi sono morte altre 117 persone.
Spesso sento la delusione, la rabbia e l’impotenza davanti a tutto questo. Sento soprattutto la rabbia, quando ascolto o leggo opinioni improbabili di volti noti e meno noti (istituzionali o meno istituzionali) che pontificano sul fenomeno della migrazione.
Non possiamo prenderceli tutti noi o agli italiani chi ci pensa? sono le più crudeli e insieme banali esternazioni che si possano sentire in giro in questo periodo storico.
Ci hanno abituato a pensare ai migranti come una minaccia, come persone che stanno bene dove vivono e vengono qui in casa nostra per capriccio, vengono qua a farci il dispetto di toglierci quell’ambitissimo posto da lavapiatti, o quel succulento posto da raccoglitore di pomodori sottopagato e sfruttato. Chi di noi non vorrebbe essere al loro posto?
Ci hanno abituati anche ad altre sciocchezze come se sono poveri, com’è che hanno i cellulari? oppure se sono così disperati perché rifiutano il cibo?
La risposta vive nello stereotipo che quotidianamente alimentiamo: noi pensiamo ai migranti come gente esotica, che viene da chissà dove, che vive in capanne di paglia e fango, che non ha mai visto un pc, incolta, ignorante, forse affetta da qualche tipo di ritardo mentale.
È molto più doloroso, invece, pensare che sono persone comuni, come noi. Che come noi, magari, hanno risparmiato per comprare un televisore, che come noi hanno comprato un cellulare a rate. Che come noi vivono in case e non in tumuli di fango. Che come noi usano internet, i computer, le fotocamere. Che come noi s’informano, leggono, sanno che l’Europa stanzia un tot di soldi per il loro cibo giornaliero e se quel cibo non gli viene dato, giustamente, s’incazzano (perché se l’Europa ha pagato per un pasto e a loro viene consegnata una mela, qualcuno ha fatto il furbo).
È molto più doloroso pensarli uguali a noi, morti in fondo al mare, gente comune con felpe, scarpe da ginnastica, borsette e zaini, partiti da casa per scappare dalla guerra, a volte, ma più spesso solo per cercare una vita migliore.
Io li sento uguali a me perché in un modo del tutto diverso e privilegiato anche io ho lasciato la mia casa per cercare una vita migliore; io ho fatto solo pochi chilometri, loro attraversano mari e continenti, ma lo scopo ultimo, identico per tutti, è quello di vivere una vita degna di essere vissuta. Se io fossi morta in mare, mia madre mi avrebbe cercata, mi avrebbe rivoluta indietro.
DISCLAIM
- Il libro mi è stato gentilmente inviato dalla casa editrice Raffaello Cortina Editore
- La foto di copertina è di Max Hirzel e fa parte del reportage Migrant Bodies, che potete trovare a questo indirizzo: https://maxhirzel.photoshelter.com/index/G00004NTbJ8ILraE
Questo libro, ed il tuo post ad esso collegato sono un pugno nello stomaco ma assolutamente reale, necessario. La nostra posizione sui migranti, quello che facciamo e non facciamo determina da che parte stiamo nella storia e nell’umanità.
Grazie per la segnalazione di questo libro. Leggerlo probabilmente sarà un pugno nello stomaco, ma ci proverò!
Grazie, questo tema mi infiamma sempre e mi fa male vedere che il mondo che mi circonda è spietato verso gli esseri umani. L’italia sta vivendo anni bui (la i minuscola non è casuale).