L’Europa non è bruciata, è morta annegata giù dai barconi (cit. Mauro Biani)

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All’indomani di una lunga giornata di polemiche se quella di Notre Dame sia stata o non sia stata una tragedia, mi risuona in testa una domanda, posta da un mio collega blogger, persona che stimo molto e le cui parole pacate e puntuali mi hanno molto aiutata ad elaborare il mio pensiero chiassoso e arrabbiato circa la questione.

Lui mi chiede: è tanto strano il nostro punto di vista?

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È tanto strano pensare che le immagini di Notre Dame in fiamme ci hanno colpiti, ci hanno fatto piangere ma che poi, a mente fredda, quando ci abbiamo riflettuto, non l’abbiamo considerata una tragedia per l’Europa e per un motivo semplice, per rispetto, rispetto verso quella tragedia reale che si consuma ogni giorno in mare e che vede la perdita di migliaia di esseri umani?

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Perché in così tanti hanno avuto una reazione di stizzita chiusura verso l’ipotesi che non fosse la Cattedrale in fiamme la tomba della nostra cultura, ma i corpi straziati che galleggiano senza vita?

E allora ho formulato una mia ipotesi, che non mi piace, ma che mi sembra la spiegazione più plausibile: credo che il pensiero automatico, quello che probabilmente non ammetterebbero di aver avuto neppure con loro stessi è stato: ma ancora con questi migranti?

Anche oggi, che sto piangendo per una cosa così intima e personale come un pezzo della mia cultura che va in fiamme, devo pensare ai migranti? Cosa c’entrano oggi i migranti, non possiamo lasciarli buoni in Africa, per un giorno, e pensare a Esmeralda e al Gobbo che si rincorrono festanti in un tripudio di paffuti Gargoyle?

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Ecco, no, mi dispiace, non potete.

Perché le persone continuano a morire, ad essere torturate, ad essere violentate, ad essere private della libertà, anche se voi siete impegnati a celebrare la grandezza della vostra cultura millenaria che va in fiamme.



Ancora una volta abbiamo confermato la nostra indole di padroni, di colonizzatori: ci siamo comportanti come quelli che sì, gli schiavi ce li avevano, ma li trattavano con decoro e magari gli davano anche gli avanzi della cena e gli abiti dismessi. E i migranti, sono per noi come buoni cani abbandonati: ci fanno pena e vorremmo offrirgli una tazza d’acqua, ma niente di più.

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Quindi, alla domanda anche oggi dobbiamo pensare ai migranti? la risposta è sì, anche oggi, ogni santo giorno. A ogni pomodoro che mangiate e a ogni goccia di benzina che versate nella tanica della vostra auto, dovete pensare all’Africa e agli Africani e all’Asia e agli Asiatici, perché in ogni fibra del nostro tessuto sociale si annida lo sfruttamento, la noncuranza, l’indifferenza.

La domanda automatica a questa mia affermazione sarà certamente: e tu, rispetti gli asiatici e gli africani in ogni cosa che fai? No, è ovvio, per il semplice fatto che non può essere il cambiamento del singolo, deve essere il cambiamento della società tutta.

È da due giorni che provano a infettarci con l’idea del simbolo culturale e dell’Europa in fiamme e molti ci sono cascati.

Hanno fatto bene le grandi menti del bookblogging italiano a mostrare foto di Notre Dame, a citare Victor Hugo in serie, ad ergere Notre Dame a simbolo della nostra cultura, della nostra storia e della nostra memoria (sì, qualcuno ha avuto l’ardire di parlare anche di memoria).




Ed è da ieri che continuo a chiedermi: ma simbolo di cosa?
Continuiamo a ripiegarci su quest’autocompiacimento della celebrazione della nostra grande cultura, ma è un autoerotismo della mente, spocchioso e annoiato, che non riesce più a vedere oltre a simboli, le strutture, i dogmi.

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Quello che vedo, il giorno dopo aver visto Notre Dame in fiamme, è un simbolo vuoto, bruciacchiato e del tutto frainteso.

A cosa ci servono monumenti, libri, sinfonie, se non siamo più in grado di sentire la nostra umanità?

La cultura non può essere un mero autocompiacimento, la cultura deve essere grandezza, ed è grande solo chi, oltre ai libri, oltre all’istruzione, riesce ancora a vedere un bambino di 2 anni morto in mare e ad indignarsi, a soffrirne, a vedere quello come grande emergenza del proprio tempo, non un tetto in fiamme che in 5 anni sarà come nuovo.

Mi viene il dubbio che Hugo non l’abbiano poi letto molto bene: cos’è Notre Dame de Paris se non il racconto del più forte che opprime il più debole? Se non il racconto delle culture che vivono a margine, dei reietti, dei rifiutati, degli esseri deformi che non vogliamo vedere e della sproporzione fra la loro libertà e la nostra libertà, forti come siamo della nostra cultura millenaria?




Ancora con questi migranti?, dunque. Io stavo solo celebrando il mio dolore per Notre Dame in fiamme! Non posso esprimere tutto il mio dolore per Notre Dame in esclusiva, oggi, e ricominciare a parlare di migranti domani?

Davvero non capite l’insita disumanità di questo pensiero?

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