Una donna di Annie Ernaux | Storia della madre

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Ne avevamo già parlato nel post in cui mi chiedevo perché leggere questa autrice, e torno a chiedermelo adesso che voglio parlarvi di Una donna di Annie Ernaux edito L’Orma: com’è possibile che uno stile così asettico e inaccogliente, possa trasmettermi tutto questo affetto, tutto questo calore?

Non lo so, non ne ho idea, tuttavia continuo ad essere profondamente innamorata dello stile di questa autrice che in Una donna viene forgiato per raccontare la vita della madre.

La madre la si incontra già nei libri precedenti (per chi li legge in ordine di pubblicazione; io che li leggo a caso l’avevo già incontrata ne L’altra figlia e Il posto, ma non so se questo sia l’ordine corretto), e già nei libri precedenti emergeva questo conflitto insieme generazionale e sociale fra madre e figlia, provenienti da tempi diversi, com’è normale, ma anche appartenenti a classi sociali diverse.

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Foto di Elena Spadafora. Se vuoi utilizzarla, prima chiedi: amaranthinemess@gmail.com

Proprio nel solco della differenza sociale cammina tutta la storia di Annie Ernaux e di sua madre (come sarà anche per Il posto, in cui racconta del padre): Annie Ernaux appartiene allo stesso mondo dei genitori – umili, incolti – sino ad un certo momento della sua vita. Poi studia, si emancipa da quell’ambiente sociale, ma contemporaneamente cambiano i tempi, la donna nella società non è più ciò che era vent’anni prima. Così, adulta, Annie Ernaux si guarda indietro e si trova ad occupare un posto sociale profondamente diverso da quello che occupano i genitori.

 

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Una donna di Annie Ernaux | La trama

La trama non c’è, come in tutte le opere di Annie Ernaux.

Una donna di Annie Ernaux si apre con la morte della madre: è quasi una cronaca spietata di ciò che accade, date, luoghi, una chiara scansione temporale.

Mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo dell’ospedale di Pontoise, dove l’avevo portata due anni fa. Al telefono l’infermiere ha detto: “Sua madre si è spenta questa mattina, dopo aver fatto colazione”. Erano circa le dieci.

Tre settimane dopo la morte della madre, Annie Ernaux inizia a scrivere il libro. Sono tre settimane di dolore, di smarrimento, che l’autrice ci descrive col suo stile teso, privo di coinvolgimento: il dolore che ci descrive potrebbe essere il dolore di ciascuno di noi.

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Dopo tre settimane dalla morte della madre riesce dunque a scrivere quelle prime parole Mia madre è morta e da lì un flusso in piena che ci porterà a conoscere la vita della madre e di conseguenza anche quella di Annie Ernaux.



In Una donna di Annie Ernaux, sono tutti pezzetti giustapposti, non c’è una linea temporale netta ma c’è coerenza e c’è armonia nella narrazione. Annie Ernaux si allontana da qualsiasi etichetta letteraria già conosciuta, rifiuta l’autobiografia, la diaristica, la narrativa, eppure le mescola e le fa convivere all’interno del suo inconfondibile stile asciutto e controllato.

Attraverso fotografie, oggetti, ricordi, ricostruisce la storia di una donna che scopre esserle in parte sconosciuta. Ne ricostruisce l’inzio, la famiglia d’origine, il desiderio negato di diventare maestra, l’ingresso in fabbrica.

Ma quella non è mia madre. Posso anche continuare a fissare la foto a lungo, fino ad avere l’allucinata sensazione che i volti si stiano muovendo, ma ciò che vedo è soltanto una giovane donna senza vezzi, un po’ impacciata in un vestito da film degli anni Venti. Solo la grande mano stretta attorno ai guanti, un certo modo di tenere alto il capo, mi dicono che si tratta davvero di lei.

E ancora:

Nel 1931 hanno rilevato, a credito, uno spaccio alimentare con bar annesso […]. Mia madre aveva venticinque anni. È qui che dev’essere diventata lei, con quel volto, quei gusti e quei modi di fare che a lungo ho creduto fossero sempre stati suoi.

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Annie Ernaux [fonte: http://www.salteditions.it/memoria-di-ragazza-annie-ernaux/]

Lo stile di Annie Ernaux serve a rendere utile la sua scrittura

Anche in Una donna Annie Ernaux rifiuta la narrazione emotiva. Non è utile allo scopo che si prefigge: per l’autrice la scrittura è prima di tutto un atto politico, che deve aprire gli occhi al lettore sui temi sociali cari all’autrice: la differenza sociale, la questione di genere.

Devo dirvi, ammiro molto Annie Ernaux per questo suo punto di vista sulla scrittura: in un momento storico in cui il libro è visto come mero oggetto di consumo e come becero strumento ricreativo del tutto fine a se stesso, pensarlo invece come politica, come sociologia, come organismo vitale che agisce all’interno delle coscienze, è, a mio avviso, un pensiero rivoluzionario.



La storia della madre è una storia personale ma anche una storia sociale

Conosceva tutti i gesti che addomesticano la miseria.

Così Annie Ernaux descrive la madre. Una donna di modesta estrazione sociale che per tutta la vita ha dovuto cavarsela. Avrebbe potuto fare la maestra, ma il padre non acconsentì a farla studiare lontano dal paesino in cui abitavano. Del resto, l’andare a scuola è visto come un’attività con cui impegnare i bambini finché non sono abbastanza grandi per andare a lavorare. Il determinismo sociale c’è, ma è un auto-determinismo, è la volontà di rimanere esattamente uguali a se stessi.

In questo i nonni e i genitori sono profondamente diversi: mentre i primi hanno cresciuto una nuova generazione di contadini e operai, i secondi hanno fatto sforzi considerevoli per poter fare evolvere la generazione successiva (e molto spesso di sono riusciti, come nel caso degli Ernaux).

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E proprio dall’evoluzione sociale della nuova generazione muove una delle componenti fondamentali della narrazione di Annie Ernaux: il senso di colpa per aver tradito le proprie origini sociali.

Figlia di una donna che è stata operaia e poi fieramente padrona di una piccola attività di provincia, Annie Ernaux è un’insegnante, ha compiuto il passaggio da una classe umile alla borghesia più fiorente (quanto meno da un punto di vista intellettuale) e guarda insieme con vergogna e senso di colpa alle proprie origini.

Tra tutti, era mia madre a portarsi dentro più violenza e orgoglio, una rivoltosa lucidità sulla sua posizione sociale di subalterna e il rifiuto di essere giudicata solo in base a quella. Una delle sue riflessioni frequenti a proposito dei ricchi: valiamo quanto loro.



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  • Questo post non è stato sponsorizzato da L’Orma editore, né dal bar di proprietà della famiglia Ernaux.


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