Non ricordo neppure come è successo che scoprissi dell’esistenza del Grand Guignol. Era lo scorso anno, stavo portando avanti le mie letture per Halloween e ad un tratto ho scoperto che più di centoventi anni fa, a Parigi, veniva fondato un teatro del macabro e dell’orrore.
Sono molto sensibile all’argomento: il macabro e l’orrore sono tratti di una letteratura che di solito ci parla in modo cifrato delle paure, delle ansie, dei desideri nascosti e indicibili di un periodo storico. E così, a suo modo, il Grand Guignol.
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Nel maggio del 1896 apre a Parigi il “Theâtre Salon” che verrà successivamente ribattezzato “Grand Guignol” (c’è tutta una storia sull’origine di questo nome, ma non voglio allungare troppo questo delizioso brodino: dei vari gossip che contornano la storia del Grand Guignol ne parliamo su Instagram).
Gli ultimi anni dell’Ottocento furono il periodo d’oro dei teatri parigini: c’erano moltissimi teatri in giro per la città e il Grand Guignol, inizialmente, fu uno dei tanti. Andavano in scena diversi tipi di rappresentazioni ma lentamente e quasi del tutto casualmente, il palinsesto del Grand Guignol virò verso il racconto horror e incredibilmente verosimile.
Al Grand Guignol si avvicendarono diversi direttori nel corso degli anni, ognuno dei quali contribuì ad avvicinare il Grand Guignol verso lo standard che lo rese famoso.
Fu sotto la direzione di Max Maurey che il teatro iniziò a somigliare anche fisicamente ad un luogo dell’orrore: l’edificio si accordò ai sentimenti che voleva suscitare negli spettatori, diventando esso stesso oscuro, inquietante.
[…] è strana questa lunga sala con i suoi muri ricoperti d’oscure tappezzerie, i suoi legni severi, con queste due porte misteriose e sempre chiuse ai due lati della scena e questi due angeli inaspettati che sorridono enigmaticamente dall’alto del soffitto… E quando lo spettatore è seduto comodamente nella sua poltrona […] ecco che d’improvviso tutte le luci si spengono nella sala; è allora, nei pochi istanti che precedono l’aprirsi del sipario, il momento del gran brivido… nel mezzo di questa improvvisa oscurità, nella quale il pallore dei volti forma macchie biancastre come di spettri, in questo silenzio impressionante, violato a volte da scoppi di risa nervose di qualche signora… l’aria imbevuta d’angoscia pesa orrendamente sulle fronti molli.
René Berton sul Grand Guignol (da Teatro del Grand Guignol, Corrado Augias, Einaudi 1972)
La cifra stilistica che rende unico il Grand Guignol è la verosimiglianza: tutte le morti, gli omicidi, gli smembramenti sono realizzati con i più sofisticati mezzi scenici. Il sangue scorre a fiumi, la violenza sembra reale.
Il teatro del Grand Guignol arriva alla fine di un secolo che, soprattutto in Francia, aveva visto trionfare uno specifico genere letterario: il Naturalismo, la realtà narrata in ogni suo particolare, anche il più sordido e scabroso.
L’Ottocento, per altro, quanto meno nella sua seconda metà, era stato il secolo del Positivismo, dell’assoluta e incotrovertibile fiducia nel positum, in ciò che è dimostrato, scientifico, certo.
Il Grand Guignol si pone sul passaggio di secolo e compie più o meno consapevolmente un paio di scelte peculiari:
- mantiene saldi i legami col Naturalismo, esasperandolo sino alle sue estreme conseguenze
- rifiuta qualsiasi connessione con il simbolismo o con l’esoterismo, due aspetti della letteratura e della vita sociale che stavano prendendo piede proprio in quegli anni
Se ci pensate, è strano: un teatro dell’orrore che mira a terrorizzare i propri spettatori ma che non vuole spingersi nel sovrannaturale. Ciò che fa paura, nel Grand Guignol, attiene all’umano, al tangibile, a ciò che è scientificamente spiegabile.
Genere morboso? e perché? Perché studia ambienti che il vecchio teatro considerava proibiti come ospedali, prigioni, manicomi? I delitti della natura, cancro, pazzia, tubercolosi, sarebbero dunque meno “interessanti” di quelle degli uomini? … La lotta che si sprigiona tra le potenze distruttrici del nostro organismo non è dunque, anch’essa, palpitante e feroce tragedia?
André De Lorde, Les maîtres de la peur
De Lorde, il maggiore scrittore del Grand Guignol, scrisse spesso a quattro mani con Binet, direttore del laboratorio di psicologia dell’Università della Sorbona.
A De Lorde i pazzi interessavano moltissimo. Molte delle sue opere sono ambientate in manicomio o hanno come protagonisti dei pazzi. Ma la pazzia, nelle opere di De Lorde è solo una malattia, non è mai nulla di più.
Il teatro del Grand Guignol predilige scrivere dei diversi e degli esclusi, ma i temi della paura e della pazzia non hanno il solo scopo generico di suscitare raccapriccio nel pubblico, sono invece utilizzati come strumenti per illustrare i rapporti col potere (magistrati, poliziotti) e con gli istituti del potere (università, carceri, tribunali).
Se le paure irrazionali e le superstizioni dei secoli passati sono state spazzate via dal progresso scientifico, nel Grand Guignol sono i luoghi della civiltà a fare paura: gli ospedali, i manicomi, le prigioni.
Ne Il bel reggimento di De Lorde, un soldato viene emarginato dai suoi commilitoni perché socialista e perché greco. La frustrazione lo renderà un omicida. Così la vendetta non è più, come lo era stata nel teatro del passato, elemento ripagatore di una situazione personale, nel Grand Guignol diventa una vendetta più ampia, è ideologica, è etnica, è politica, è di classe.
Ciò nonostante, il teatro del Grand Guignol non è un teatro di denuncia, non è volutamente politico ed è proprio per questa caratteristica che è un affidabilissimo testimone del proprio tempo.
La denuncia emerge automaticamente nel corso della narrazione. Così come nel caso del soldato emarginato: la sua vendetta è il mezzo con cui l’individuo ristabilisce da solo un ordine che il potere costituito gli nega. Non volendo essere deliberatamente politico, il Grand Guignol si mostra come un affidabilissimo testimone delle paure e delle ansie del proprio tempo proprio perché ne parla senza intenzione, volendo solo raffigurare la realtà delle cose.
Un esempio: come ho detto De Lorde si concentrò moltissimo sui manicomi e sui pazzi lì rinchiusi. Dalle sue rappresentazioni emerge spesso il modo orribile in cui venivano trattati i malati all’interno di quelle strutture, ma l’intento di De Lorde non è certo la denuncia sociale: vuole solo riportare sulla scena ciò che realmente accade, esasperandolo in chiave macabra.
Perché il Grand Guignol è morto?
Negli anni in cui il Grand Guignol ha conosciuto il suo maggiore successo, iniziava a diffondersi un altro formidabile mezzo di intrattenimento: il cinema.
Le differenze fra l’uno e l’altro erano evidenti: per quanto il Grand Guignol potesse ricorrere ai più raffinati trucchi scenici, il cinema aveva a disposizione una tecnica che il teatro non poteva uguagliare. Tuttavia una caratteristica del Grand Guignol rimase solo del Grand Guignol: nessun lieto fine, nessuna redenzione. Mentre nei film horror che iniziavano ad esser proiettati sul grande schermo, alla fine, i buoni vincevano sempre (o quasi), al Grand Guignol non c’era mai alcuna speranza.
Ma Augias nel suo Teatro del Grand Guignol riporta anche un’altra ragione: da lì a qualche anno sarebbe scoppiata la Prima Guerra Mondiale e gli orrori del Grand Guignol iniziarono a sembrare inutili scimmiottamenti dell’orrore vero. E dall’orrore vero nascerà un nuovo tipo di pubblico, molto più smaliziato e cinico che, probabilmente, un autore di Grand Guignol non sarebbe mai più riuscito ad impressionare.
DISCLAIM
- L’immagine di copertina è di Google immagini
- Per scrivere questo post ho consultato: Augias, C. (a cura di), Teatro del Grand Guignol, Einaudi 1972
- Questo post non è stato sponsorizzato dall’industria del sangue finto.
È davvero un luogo eccezionale, e apprezzo molto la professionalità e completezza con cui ne hai parlato. Io sono una grandissima fifona, penso che non ci sarei mai andata 😂 Mi ha anche turbata pensare che esistano “letture di Halloween” 🤤
La mia prof di Francese del liceo era una grande appassionata del Grand Guignol e mi ha saputo trasmettere molto su quel teatro così particolare e sulle opere messe in scena. Hai scritto davvero un bran bel post!
Amo alla follia. Sarei voluta essere una spettatrice dell’epoca per farmene impressionare.
Non sapevo della collaborazione con Binet, si spiegano diverse cose *_*