Questo post è uno sfogo. Molti di voi conoscono già questa storia perché l’ho raccontata più volte e in più occasioni: finita la laurea triennale, non mi sono iscritta alla specialistica.
Avevo in ballo il corso da Web designer e mille altri progetti per la testa, così mi sono trasferita a Milano e ho deciso di continuare a studiare ma non più letteratura: mi sono spostata sulla comunicazione, ho conseguito un master e una specializzazione in Web design e da lì, poi, è iniziata la mia vita da adulta.
Ma nella mia vita da adulta mancava un piccolo pezzo essenziale, un piccolo vuoto invisibile più o meno a tutti, tranne alle persone che mi conoscono molto da vicino e mi vivono accanto: così lo scorso anno il mio consorte mi ha convinta a iscrivermi nuovamente all’università, questa volta per conseguire la laurea specialistica in letterature straniere.
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La mia sindrome dell’eterno studente mi ha portata a tornare all’università
Alcuni hanno tentato di dissuadermi, altri l’hanno presa quasi come un atto di coraggio: tornare a studiare pur avendo un lavoro a tempo pieno. Ma si può fare veramente?
Sì, sulla carta si può fare. Mi sono iscritta all’Università degli studi di Milano, che prevede uno status, quello di studente-lavoratore, che, una volta ottenuto, dà la possibilità di richiedere il part-time, ovvero: quello che gli studenti della specialistica studiano in 2 anni io, che sono studente-lavoratore, posso studiarlo in 4.
Un’ottima agevolazione per chi lavora, se non fosse che è l’unica.
Pare che lo status di studente-lavoratore esista solo sulla carta, che sia solo un inutile nomignolo che permette di non chiamare “fuori corso” gli ulteriori due anni che ti servono a finire di studiare.
Nella realtà quotidiana l’università e tutto ciò che ci sta dentro, è totalmente inadeguata a gestire un tipo di studente che non può dedicare tutto il suo tempo a file, attese, ricevimenti di prof dall’ego ipertrofico e via dicendo.
La scorsa settimana (e tutto il mese appena trascorso) sono stati allegramente movimentati dalla mia vita parallela di studentessa universitaria
Sessione invernale e poi giro di ricevimenti per parlare con i prof degli esami che vorrei sostenere in estate. Incubo. In-cu-bo.
Per l’esame di febbraio ero molto contenta perché la prof si era dimostrata comprensiva e disponibile: le avevo spiegato che sarebbe stato meglio, per me, andare all’università solo il giorno dell’interrogazione e non anche quello dell’appello (per chi non conoscesse bene l’iter degli esami universitari: se un esame ha molti iscritti, il professore fa l’appello dei presenti il primo giorno, e poi divide tutti gli esaminandi in diverse giornate di interrogazione. Quando ero una studentessa e basta andavo lì il primo giorno per rispondere all’appello e poi tornavo il giorno che mi era stato assegnato per l’interrogazione.)
Molto comprensiva e disponibile se non fosse che sì, ha accettato che mi presentassi dirattamente il giorno dell’interrogazione, ma ha pubblicato il calendario delle interrogazioni alle 10 di sera, con la mia interrogazione segnata per la mattina successiva.
Non so come funzioni la richiesta di un permesso per un professore universitario, ma per un lavoratore dipendente chiedere un permesso la mattina per la mattina stessa potrebbe rappresentare (ovvero rappresenta) un problema.
Il secondo round con il pazzo pazzo mondo universitario si è tenuto la settimana scorsa, quando sono andata ad incontrare la docente di una materia che vorrei studiare per la sessione estiva
Avendo incontrato, nella mia passata esperienza universitaria, moltissimi professori con seri disturbi psichiatrici che sbottavano estremamente risentiti al minimo stimolo, cerco sempre di disturbare il meno possibile e di essere sempre estremamente gentile, al limite dello stucchevole.
Così scrivo alla prof, mi presento, le spiego la situazione e le chiedo se per lei va bene che mi presenti da lei al prossimo ricevimento. Sua risposta, testuale: la aspetto.
Il giorno del ricevimento prendo un permesso, vado a Milano, mi metto buona nella sala d’attesa assieme agli altri studenti e lì scopro che c’è una lista, un foglietto che la prof tiene in mano e dal quale legge il nome dei ragazzi che chiama e accompagna alla sua stanza.
Il mio nome sul quel foglietto non c’è, così le faccio presente che le avevo scritto, giusto una settimana prima. Sua risposta, testuale: eh, ma le mail…
Fortunatamente gli iscritti al ricevimento sono pochi, così aspetto e alla fine riceve anche me.
Uscita dalla stanza della prof vedo quello che è l’ultimo pezzetto del puzzle che mi fa capire come funziona il tutto: una bacheca di sughero, con attaccati tanti foglietti diversi con tanti nomi scritti con tante grafie diverse.
Per finire anch’io su quel foglietto avrei dovuto forse prendere un permesso per andare ad iscrivermi, e poi un ulteriore permesso per il ricevimento vero e proprio. Fuori di testa.
Il terzo ed ultimo (per adesso) round con il pazzo pazzo mondo dell’università si disputa proprio venerdì mattina. Nuovo permesso dal lavoro, nuovo ricevimento
Vado nuovamente a Milano, mi presento in quella che è la sede principale del mio corso di laurea ma lì mi viene detto che la prof che voglio incontrare non è lì, è in un’altra sede.
Corro, fortunatamente l’altra sede è ad una decina di minuti dalla prima, ma arrivo ovviamente in ritardo e la prof ha già finito la lezione alla fine della quale mi ha dato appuntamento.
Entro nell’aula, c’è la prof della lezione successiva, le chiedo se ha visto l’altra prof e lei non l’ha vista. Allora cerco una segreteria, una portineria, un posto in cui chiedere informazioni e trovo un ufficetto nascosto con dentro un tizio a cui dico Buongiorno, dovrei incontrare una professoressa che però non ha un ufficio, mi ha dato appuntamento alla fine della lezione ma l’ho mancata, sa dove potrei trovarla?
Risposta: Ma è una professoressa del dipartimento di oncologia? Perché qui ci sono solo uffici del dipartimento di oncologia!
Ovviamente lo prendo per cretino e gli ripeto, scandendo bene le sillabe, la parte in cui dicevo che la prof non ha un ufficio fisso; nel frattempo suona il telefono, lui lo prende e si lancia in una discussione che non sembra breve.
Dall’ufficio del tizio idiota vado via senza aspettare che finisca la sua telefonata, sono davvero nervosa e arrabbiata e voglio solo smetterla con quella pagliacciata, studiare e lavorare non è possibile.
Fortunatamente poi la prof la trovo e lei è molto gentile.
Ok, adesso mi sono calmata e non penso più di smettere di studiare ma so che non sarà facile. So che sarà molto meno facile di quanto già non mi aspettassi.
Su tre materie tre inghippi, ne ho ancora dieci davanti a me, lo immaginate?
La cosa che dà più fastidio di tutte però, aldilà della totale disorganizzazione, è la mancanza di rispetto.
All’interno dell’università la colpa è sempre dello studente.
Sei tu che non hai scritto/telefonato/comunicato abbastanza, sei tu che non hai dato le informazioni necessarie, sei tu che indiscutibilmente vuoi fare il furbo, vuoi studiare meno del dovuto, vuoi raggirare il sistema. Sei tu che, se ti presenti ad un esame e non sei preparato al 100% , lo fai perché vuoi prendere in giro il professore, non perché magari non hai avuto il tempo di studiare tutto e tutto ugualmente bene.
C’è questa idea malata, radicata nella maggior parte delle menti dei professori, che tutto giri intorno a loro. Che non vai a lezione perché non li rispetti, che non ti prepari al massimo per prenderli in giro, che non ti presenti ad esame perché sei disorganizzato (e quindi non li rispetti).
Ecco, se passasse di qui un professore universitario che avesse l’onestà intellettuale di riconoscere di aver assunto, anche solo una volta nella vita, questo atteggiamento, vorrei dire: amico mio, svegliati, non sei il centro del mondo. Le stronzate che facciamo noi studenti le facciamo per tanti motivi e pochissimi di questi hanno a che fare con te professore universitario.
Quando sei una ragazzina fresca di maturità l’atteggiamento nevrotico e indisponente di tutto il sistema-università può incutere timore, quando poi diventi un adulto che ha un po’ di esperienza del mondo, che ha problemi seri da adulto, ti fa solo incazzare.
DISCLAIM
- La foto di copertina è un’immagine di Google immagini
- Questo post non è sponsorizzato dall’associazione Studenti-lavoratori sull’orlo di una crisi di nervi
Ti capisco in pieno perché sono stata studente-lavoratrice anch’io. Avevo un contratto a tempo indeterminato e mi sono iscritta all’Università perché volevo laurearmi. Ce l’ho fatta, e anche in tempo. E con il vecchio ordinamento. Lavoravo 8 ore in ufficio e alla sera studiavo. Ho vissuto anch’io tutto quello che hai raccontato e mi dico davvero che il nostro è un paese messo male. Vorrei tornare a studiare per una seconda laurea ma non credo lo farò mai. Non qui.