#ResistenzaVera | Il commissario Kim de “Il sentiero dei nidi di ragno”

il sentiero dei nidi di ragno
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Due settimane fa è iniziata la rassegna di letteratura italiana su fascismo, antifascismo e Resistenza di amaranthinemess.it.

Per leggere il primo post introduttivo potete cliccare qui. Quello di oggi è il primo appuntamento di questo percorso che toccherà Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, Cronache di poveri amanti di Pratolini, La luna e i falò di Pavese e Lessico famigliare di Ginzburg.

 

 

italo calvino
Italo Calvino

 

Il sentiero dei nidi di ragno è un libro del 1947 di Italo Calvino che racconta le vicende del piccolo Pin capitato in una brigata partigiana. Il libro ha una narrazione cronologicamente progressiva e segue i diversi incontri e le diverse avventure vissute da Pin dopo aver lasciato la sua casa.

Un solo capitolo sembra del tutto estraneo a tutto il resto: il IX, il capitolo del commissario Kim.

 

– TEMPO DI LETTURA 4 MINUTI –

 

“…eppure la sua mente s’affolla a ogni istante d’interrogativi irrisolti.”

Il commissario Kim è un partigiano, uno di quelli che prende le decisioni, e ci viene presentato come uno studente di medicina con un enorme interesse per i pensieri degli uomini.

Nel IX capitolo il commissario Kim si addentra in una riflessione su partigiani e fascisti, sulle ragioni degli uni e degli altri e su cosa, in effetti, li distingue.

 

 

ferruccio parri
Ferruccio Parri, politico, antifascista e partigiano italiano.

 

Il commissario Kim ha fatto un esperimento sociale: ha messo tutti insieme dentro un distaccamento i peggiori partigiani che avesse (che più avanti troverete nominati come gli uomini del Dritto, che è il loro comandante) : quelli più inaffidabili, meno devoti alla causa, tutti nello stesso gruppo. Eppure, dice, quello è il distaccamento di cui è più contento.

 

[…] ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi. Gente che s’accomoda nelle piaghe della società e s’arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere e niente da cambiare. […] Un’idea rivoluzionaria in loro non può nascere, legati come sono alla ruota che li macina.

 

[…] Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c’è coraggio, che c’è furore anche in loro. È l’offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi.

 

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Uno di loro, un giorno, abbandona il gruppo e va a combattere col nemico, con la brigata nera, i fascisti. Basta un nulla per salvarli o per perderli, dice il commissario Kim parlando del suo esperimento sociale. Questo è il lavoro politico, dice Kim, dare loro un senso…

 

[Kim] – […] Questo non è un esercito, vedi, da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlar di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall’altra parte ne hanno di ideali. […] Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore così, senza gridare evviva.

 

 

“Quindi, lo spirito dei nostri… e quello della brigata nera… la stessa cosa?…”

La diserzione di quel partigiano e il suo passaggio alla brigata nera innesca una riflessione sugli uni e sugli altri, sul fatto che entrambi sparino, entrambi uccidano.

La Resistenza è stata una guerra civile, gli uomini contro gli uomini

Attraverso la riflessione del commissario Kim, Calvino costruisce come un’esegesi del suo romanzo: in cosa sono diversi dai fascisti questi uomini miseri che ci descrive e che lottano da partigiani?

Non hanno nulla dell’eroe, del patriota, del grande spirito che s’immagina possa avere un partigiano. Sono ometti qualunque, ognuno col suo tic, ognuno con la sua nevrosi, nessun uomo valoroso, solo tante disperazioni diverse, giustapposte le une alle altre.

Per cosa combattono?

 

 

il sentiero dei nidi di ragno

Il sentiero dei nidi di ragno

 

Combattono per un riscatto privato che, nel momento stesso in cui si pone come rottura dello statu quo diventa riscatto collettivo.

 

Quel bambino del distaccamento del Dritto, come si chiama? Pin? Con quello struggimento di rabbia nel viso lentigginoso, anche quando ride… Dicono sia fratello di una prostituta. Perché combatte? Non sa che combatte per non essere più fratello di una prostituta.

 

 

“…noi per redimercene, loro per restarne schiavi.”

Gli stessi spari dunque, spesso anche la stessa violenza cieca e incoercibile. Tuttavia, i motivi che li muovono sono diversi.

Il commissario Kim dice che i gesti dei fascisti vanno perduti perché non servono a costruire un futuro, una società libera, senza odio. È solo violenza, violenza senza criterio che serve solo a perpetuare violenza e abuso.

 

riccardo fedel
Riccardo Fedel, partigiano italiano. Fu ucciso in Romagna nella tarda primavera del 1944 da altri partigiani in circostanze e per motivazioni mai del tutto chiarite. Il suo corpo non fu mai ritrovato.

 

Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto.

 

Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi.

 

L’altra parte è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili perché, anche se vincessero, […] non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.

 

 

Così Calvino fornisce una risposta a tutti quelli che hanno provato, nel corso della nostra storia, a dire che anche i partigiani hanno sbagliato.

Di certo hanno sbagliato, erano uomini. Quando lo stato di diritto non c’è più la decisione sulla vita e la morte degli uomini non è più affidata ad un’istituzione superiore come la giustizia, ma alla decisione di un singolo, un uomo, che può avere una visione parziale, sbagliata, deviata delle cose.

Ciò che li distingue dagli altri è il perché fossero lì. Non per perpetuare la violenza ma per interromperla. Non per continuare l’abuso, ma per fermarlo.

 

Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: […] Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.

 

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