La Strada di Cormac McCarthy | È stata una lettura travagliata

la strada cormac mccarthy
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La prima lettura dell’anno è stata La Strada di Cormac McCarthy, libro del 2006 ambientato in un mondo post-apocalittico.

Chi un po’ conosce me e le mie fisime letterarie sa perfettamente che mai avrei scelto come mia prima lettura del 2020 (come mia lettura, punto) un libro distopico in cui tutto è angoscia e disperazione.

E infatti non è stato semplice arrivare sino alla fine: su Instagram, nelle storie, vi ho raccontato la mia lettura minuto per minuto (più che altro mi sono lamentata con voi, minuto per minuto) e anche del motivo per cui sono approdata a questo libro.

 

la strada cormac mccarthy

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In questo post, invece, vorrei raccontarvi cosa è successo dopo.

Dopo aver finito di leggere, dopo aver finito di lamentarmi e dopo aver riflettuto un po’ su quel che ho letto. Cominciamo?

 

– TEMPO DI LETTURA 4 MINUTI –

 

Un libro senza protagonisti, un libro senza eroi

I due personaggi principali de La Strada di Cormac McCarthy sono un bambino e suo padre ma non hanno un nome e non vengono descritti fisicamente: sono due persone perse in un mondo giunto alla fine, alla distruzione irrimediabile

Non c’è neppure una causa, per tutto questo. Non è stata una guerra, un virus letale, un’orda di zombie o un asteroide infuocato: sappiamo solo che è tutto finito, che il mondo è una landa desolata e che sparuti gruppi di persone – alcune buone, alcune cattive – vagano per le strade in cerca di cibo, coperte, vestiti e del poco altro che trovano in giro e che possa garantirgli la sopravvivenza.

 

cormac mccarthy

 

La mancanza di una causa precisa rende la desolazione ancora più insopportabile: sembra che McCarthy voglia dirci non serve un asteroide infuocato, faremo tutto da soli.

Sebbene lo stile e la prospettiva dati dall’autore al libro non mi abbiano convinta pienamente, riconosco a La Strada di Cormac McCarthy il merito di riuscire a innescare un pensiero su noi individui e su noi comunità.

Il messaggio ecologista, ad esser sinceri, non ce lo vedo. Se l’intento di McCarthy era metterci in guardia da noi stessi credo abbia dato per scontate troppe cose. Se invece il suo intento era quello di spingerci a riflettere sulla qualità della nostra vita allora ha decisamente fatto centro.

 

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La domanda che sorge spontanea leggendo La Strada è: vale ancora la pena sopravvivere?

In un mondo in cui non c’è più alcuna certezza né alcun punto di riferimento, un mondo in cui non c’è prospettiva, in cui devi scappare sempre, in cui non puoi sceglierti un posto in cui tornare, da chiamare casa, in un mondo in cui l’unico motivo per cui ti svegli la mattina e cammini e mangi e cammini ancora e poi ti riposi è sopravvivere, in un mondo come questo, vale ancora la pena lottare per la vita?

Nonostante l’orrendo patetismo di cui l’autore ha imbevuto il personaggio del padre e dell’ancora più insopportabile buonismo evangelico di cui è fatto il bambino, la domanda che mi sono posta ad ogni pagina è stata proprio questa. 

Perché continuare a vivere se non c’è alcuna prospettiva di miglioramento?

 

la strada cormac mccarthy

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Nella risposta a questa domanda si mostra, a mio avviso, la maggiore debolezza de La Strada di Cormac McCarthy, ovvero l’idea che ci sia sempre una speranza.

Mentre il personaggio del padre si avvicina gradualmente non solo alla domanda di cui sopra ma anche all’angosciante risposta, l’insopportabile bambino continua a nutrire una speranza, del tutto vana, aggiungerei.

Per di più non si capisce in cosa speri questo bambino che, da quanto viene raccontato, è nato e cresciuto nel post-apocalittico e del pre-apocalittico non può avere alcuna memoria se non indiretta, attraverso i racconti del padre. In cosa spera questo bambino?

Il bambino de La Strada sembra sperare e basta. Spera per sperare, forse perché il suo autore ha deciso che è cosa buona e giusta.

 

 

Mi aggrappo al ragionamento sulla società e alla mancanza di punti di riferimento

Per riuscire a superare indenne questa lettura – che, ah, non ve l’ho detto, ma era obbligatoria, per un esame – mi sono allora aggrappata ad un altro tipo di riflessione, cancellando dalla mia mente quel filone melenso sulla speranza: una società post-apocalittica è una società senza società, il sistema è saltato e insieme a lui anche tutti i suoi valori, tutte le sue regole del viver comune

Tutto questo ci dà uno sguardo su ciò che potremmo essere se smettessimo di essere ciò che siamo, sul potere della cultura e su quanto tutti i capisaldi del nostro essere umanità non sono altro che convenzioni, sovrastrutture, cose che vanno in certo modo solo perché abbiamo deciso così – ma avremmo potuto scegliere altrimenti…

 

la strada cormac mccarthy

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È illuminante, sotto questo aspetto, la distinzione che il bambino – sì, ancora lui, il nostro beniamino – fa fra buoni e cattivi: il sistema valoriale del viver comune è del tutto saltato, la proprietà privata non esiste, se trovi qualcosa che possa aiutarti a sopravvivere la prendi, e se era già di qualcun altro pazienza, avrebbe dovuto stare più attento.

 

 

Anche il bambino e suo padre, per forza di cose, aderiscono a questo nuovo sistema di valori ma loro sono i buoni. Ce ne sono altri di buoni, il bambino lo sa, ma ci sono anche i cattivi che sono quelli che ricorrono alla violenza anche quando non ce n’è bisogno ma soprattutto sono quelli che non si accontentano di mangiucchiare bacche avvizzite ma mangiano gli altri esseri umani.

 

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È solo questa la linea di demarcazione che distingue i buoni dai cattivi e molto spesso, durante il libro, sembra che anche questa semplice distinzione possa essere messa in dubbio.

Solo il bambino pare rimanere fuori da tutto. Del resto è il padre stesso a dirlo: il bambino è un dio. Al di là della cripticità della frase che nell’organicità della storia raccontata sembra un po’ buttata lì, sembra proprio che l’autore voglia appioppare al piagnucolante ragazzino un valore simbolico. Il bambino è Dio, il bambino è la speranza. Il bambino è quasi un nuovo Messia, che prende per mano gli appestati e convince il padre a soccorrere chi ha bisogno, anche se questo significa privarsi del cibo che potrebbe garantirgli la sopravvivenza.

E il suo destino lo ripaga. Nonostante tutte le peripezie vissute, alla fine il bambino avrà una sua ricompensa. Una triste ricompensa opaca, tuttavia, pur sempre confinata in un mondo in cui non c’è più nulla di bello e in cui si vive solo perché la vita è stata assunta come bene supremo, anche quando non lo è affatto.

 

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