Giorno della memoria | Il dolore e la memoria, Marguerite Duras e Liliana Segre

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Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa libera Auschwitz.

Si sapeva già dei campi, ma per la prima volta ne viene visto uno. Per la prima volta viene visto l’orrore.

Spaventati per l’arrivo dei russi, i tedeschi avevano già lasciato il campo, portando con sé, nella cosiddetta Marcia della morte, i superstiti del campo. Molti di loro morirono durante la marcia stessa.

 

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Campo di concentramento di Auschwitz

 

Liliana Segre era fra quei superstiti. Arrestata al confine italiano, rinchiusa a San Vittore, poi deportata ad Auschwitz, Liliana Segre, appena tredicenne, sopravvisse al campo e alla marcia e tornò viva a casa. Ci racconta la sua vita ne La memoria rende liberi.

Ma c’era anche il dolore di chi aspettava: Marguerite Duras, scrittrice e giornalista francese, faceva parte di un’organizzazione di partigiani francesi. Il suo compagno, Robert L., vene arrestato e deportato a Dachau: ne Il dolore lei ci racconta dell’attesa per il suo ritorno e della sua lenta guarigione.

 

– TEMPO DI LETTURA 4 MINUTI –

 

Il giorno della memoria | La memoria rende liberi, Liliana Segre e Enrico Mentana

Liliana Segre, la deportazione, il suo papà

Quando Liliana Segre viene arrestata è insieme a suo padre. Lui, finché potrà, proverà sempre a proteggerla. Ne La memoria rende liberi ci racconta, fra le altre cose, un episodio dal carcere di San Vittore.

 

Anche questa volta il mio papà, confinato nella sezione maschile, riuscì a mandarmi qualcosa di buono da mangiare. Un giorno mi venne consegnata una valigetta piena di biscotti frantumati. Immagino che fosse riuscito a procurarseli attraverso una guardia. Era uno dei suoi messaggi d’amore, che mi commuovevano sempre. Masticavo biscotti e piangevo.

 

Liliana Segre, Enrico Mentana, La Memoria rende liberi, Rizzoli BUR (2015)

 

giorno della memoria la memoria rende liberi

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All’interno dei libero Liliana racconta tutto, del carcere, della deportazione, di Auschwitz, della marcia della morte e del ritorno a casa. Non posso riportarvi tutto – per questo vi invito a leggere il libro – ma una delle parti che trovo più rappresentative di tutto il libro è quando ci parla dello stupore:

 

[…] quello che dominava la mia mente, più che il dolore, era la sensazione di stupore. […] Lo stupore per il male altrui è una cosa infantile, un sentimento legato all’infanzia. Primo Levi provò questo sentimento durante il suo primo incontro con i soldati tedeschi, che picchiavano violentemente i prigionieri per farli salire a forza sui vagoni piombati. E si rese conto di come lo stupore faccia parte dell’innocenza. Perché chi non si stupisce più di niente, ha perso la sua innocenza. E io mi sono stupita, sempre, di tutto quello che ho visto.

 

Liliana Segre, Enrico Mentana, La Memoria rende liberi, Rizzoli BUR (2015)

 

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L’ultimo episodio tratto da La memoria rende liberi che voglio riportarvi parla di quando l’Armata Rossa sta già arrivando, i tedeschi iniziano a scappare con i prigionieri: la Marcia della morte ha inizio.

 

Ricordo di aver visto il capo del campo buttare la pistola per terra. Era un uomo terribile, crudele, che picchiava selvaggiamente le prigioniere, e in quel momento una parte di me avrebbe voluto raccogliere la pistola e ucciderlo. Fu un istante di vertigine, durante il quale mi sembrò che si fossero invertite le parti: forte io e debole lui. Guardavo l’arma, feci per prenderla convinta di potergli sparare, sicura che ne sarei stata capace. La vendetta mi sembrava a portata di mano. Ma di colpo capii che non avrei mai potuto farlo, che non avrei mai potuto ammazzare nessuno. Questo fu l’attimo straordinario che dimostrò la differenza fra me e il mio assassino.

 

Liliana Segre, Enrico Mentana, La Memoria rende liberi, Rizzoli BUR (2015)

 

 

Il giorno della memoria | Il dolore, Marguerite Duras

Robert L. è il marito di Marguerite Duras e come lei fa parte di un’organizzazione di partigiani per la Resistenza francese. Lui viene scoperto dai tedeschi, catturato e deportato a Dachau.

Il dolore è una raccolta di racconti: il primo e quello che dà anche il nome alla raccolta è appunto Il dolore e racconta dell’attesa di Marguerite per il ritorno di Robert L. da Dachau.

Questa attesa, viverla significa non esistere più. Accadono più cose nella nostra testa che sulle strade tedesche, scrive.

Ma oltre all’attesa per il ritorno di Robert L., ne Il dolore Duras ci racconta tante altre piccole cose che vanno a comporre il quadro generale di quel periodo, di quel che succedeva. Ci racconta dell’odio per i tedeschi, ad esempio, dopo la fine dell’occupazione in Francia.

 

giorno della memoria il dolore duras

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Un prete prigioniero ha condotto con sé al Centro un orfano tedesco. Lo teneva per mano, ne era fiero, lo mostrava, spiegava come lo aveva trovato, diceva che quel povero bambino non aveva colpa. Le donne le guardavano male. Si attribuiva il diritto di perdonare già, di assolvere già,. Non era reduce da nessun dolore, da nessuna attesa. Accordava a se stesso l’esercizio del diritto di perdonare, ad assolvere subito, lì su due piedi, senza saper nulla del loro odio, terribile e buono, consolante come la fede in Dio. Di che veniva a parlare? mai un prete è apparso così fuori luogo. Le donne distoglievano lo sguardo, sputavano su quel sorriso aperto, clemente, radioso. per il bambino non avevano occhi. Il mondo spaccato in due. Da una parte, il fronte delle donne, compatto, irriducibile. Dall’altra, quell’uomo solo che aveva ragione in una lingua che le donne non capivano più.

 

Marguerite Duras, Il dolore, Feltrinelli (1995)

 

 

All’interno de Il dolore di Marguerite Duras ci sono infiniti spunti di riflessione che vanno al di là della sua straziante attesa del ritorno di Robert L. All’interno di quel breve racconto Duras riesce a raccontarci di sé, del proprio dolore, della propria mente che immagina tutti gli scenari possibili – in cui lui è vivo, a volte, in cui è morto, altre – ci racconta dell’attesa di altri. E ci racconta dell’Olocausto:

 

Tanti, i morti sono veramente tanti. Sette milioni di ebrei sterminati, trasportati in vagoni-bestiame, gasati nelle camere a gas costruite a questo scopo, nei forni crematori costruiti a questo scopo. Non si parla ancora degli ebrei, a Parigi. Appena nati, i loro figli venivano affidati al corpo delle ADDETTE ALLO STRANGOLAMENTO DEI BAMBINI EBREI, esperte nell’arte di uccidere premendo sulla carotide. Si muore sorridendo, niente dolore, dicono. Questo nuovo volto della morte, organizzata, razionalizzata, che si scopre in Germania, sconcerta prima di indignare. C’è sbalordimento. Come si potrà essere ancora Tedeschi?

 

Marguerite Duras, Il dolore, Feltrinelli (1995)

 

E infine, il ritorno di Robert L.

Robert L. era stato abbandonato in una sezione di Dachau in cui avevano radunato tutti i casi disperati, tutti quelli che erano già morti o stavano per morire. Quando arriva la notizia che Robert L. è ancora vivo e che è a Dachau due amici di Marguerite partono per andarlo a prendere, e quando raggiungono il campo stentano a riconoscerlo.

Uno dei momenti più toccanti del racconto è il momento in cui lei lo rivede. Ieri, nel video che ho registrato per il giorno della memoria, non ho voluto leggervelo. È un passo straziante e intimo e penso che il minimo che possiamo fare, nel rispetto di quel dolore, sia non leggerlo ad alta voce: possiamo leggerlo in silenzio, seppur tutti insieme.

 

Grida soffocate nella scala, agitazione in tutto il casamento, scalpiccii. Poi porte che sbattevano, grida. Era lui. Erano loro che tornavano dalla Germania. Non ho potuto farne a meno. Sono scesa di corsa, sono scappata nella strada. Beauchamp e D. lo reggevano per le ascelle. Erano fermi sul primo pianerottolo. Lui aveva gli occhi alzati. Ora non so più esattamente. ha dovuto guardarmi, riconoscermi, sorridermi. Ho urlato di no, non volevo vedere. Sono tornata indietro, ho risalito la scala. Urlavo, di questo mi ricordo. La guerra mi usciva fuori con queste urla. Sei anni senza gridare. Mi sono ritrovata in una casa di vicini. Mi costringevano a bere del rum, me lo versavano dentro la bocca. Dentro le grida.

 

Marguerite Duras, Il dolore, Feltrinelli (1995)

 

Il giorno della memoria | Quello che è successo l’altro ieri a Mondovì

Mondovì è una cittadina piemontese in cui, fra gli altri, abita il figlio di una donna che fu deportata perché partigiana. Lei si chiamava Lidia Rolfi ed è morta vent’anni fa, ma qualcuno ha ben pensato di scrivere “Juden hier” (“Ebreo qui”) sulla porta di quella che fu la sua casa.

Marco Damilano, direttore de L’Espresso, durante la trasmissione Propaganda live del 24 gennaio scorso parla della vicenda e dice: forse loro hanno più memoria di noi.

Io non sapevo chi fosse Lidia Rolfi. Al di là del fatto che è stata deportata in quanto partigiana e non in quanto ebrea (non lo era, difatti), pochi di noi sapevano, prima di quanto è accaduto, che a Mondovì c’è la casa di una partigiana e che lei è finita in un lager per aver provato a resistere ai nazifascisti.

 

 

Se veramente loro hanno più memoria di noi è questo ciò che dobbiamo combattere: dobbiamo riaccenderla, quella memoria, dobbiamo contivarla, dobbiamo farla vivere in noi.

 

Da gennaio e per alcune settimane amaranthinemess.it ospiterà una rassegna di letteratura italiana in cui si parlerà di fascismo, antifascismo e Resistenza.

Per leggere i post della rassegna di letteratura italiana, clicca sul banner qui sotto:

giorno della memoria rassegna di letteratura italiana

 

 

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