Toni Morrison: L’occhio più azzurro | L’odio razziale verso se stessi

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Già dalle prime pagine de L’occhio più azzurro di Toni Morrison ho sentito un nonsocchè di familiare: una storia, raccontata da una bambina, che parla di persone afroamericane nell’Ohio del 1941 fa subito Il buio oltre la siepe. Ma no, sbagliato, questo libro è tutta un’altra cosa.

E lo è essenzialmente per un motivo: non sono i bianchi, qui, a parlare. Per quanto i buoni Finch siano entrati definitivamente nel nostro cuore, non erano neri, non hanno potuto raccontarci quell’altra parte della storia.

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Le piccole Teer, invece, sono afroamericane. Sono due sorelle – Claudia e Frieda – ma solo una di loro racconta, Claudia – e inizia la storia dicendo che quell’anno non erano fiorite le calendule e ciò era avvenuto forse perché la loro amica Pecola era rimasta incinta.

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L’impeccabile tecnica narrativa di Toni Morrison le permette di svelarci sin da subito la fine della storia che si accinge a raccontarci

Ce lo dice, sì, come finisce la storia, ma lo fa con le parole di una ragazzina che collega i fatti in modo fantasioso e forse illogico: cosa c’entrano le calendule con Pecola rimasta incinta?

Pecola è una compagna di scuola di Claudia e Frieda e, al contrario delle due bambine che hanno una situazione familiare abbastanza serena, vive in una famiglia parecchio instabile.

L’indagine sul singolo personaggio è portata avanti da Toni Morrison in modo approfondito: alla fine del libro sappiamo esattamente perché i personaggi hanno agito in un determinato modo, o, per lo meno, possiamo intuirlo.

Toni Morrison
Toni Morrison che pronuncia il discorso Tributo a Chinua Achebe -Cinquantesimo anniversario di ‘Things Fall Apart’. The Town Hall, New York, 26 febbraio 2008.

Il padre e la madre di Pecola – Mr e Mrs Breedlove – hanno vissuto vite travagliate. Lui, abbandonato dal padre prima di nascere, cresce con una zia e alla sua morte va alla ricerca del padre, lo trova, ma non viene accolto da lui.

Lei vive una doppia bruttezza, quella etnica e quella sua personale, data da una deformità al piede.



Così il sopruso e la violenza si perpetrano, restano indelebili nella storia della famiglia Breedlove, vengono assimilati come parte del loro dna e facendolo, innescano un circolo vizioso in cui il male crea altro male e in cui tutti sono colpevoli e tutti, indiscutibilmente, vittime.

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Toni Morrison ha voluto riscrivere il razzismo e così facendo se ne riappropria

Si può essere razzisti anche contro se stessi, ci si può considerare inferiori, si può, paradossalmente, prendere parte alla discriminazione etnica e crederci davvero a quelle parole che dicono che i bianchi sono meglio dei neri?

Soprattutto nella descrizione del personaggio della madre di Pecola, Pauline, Toni Morrison ci risponde che sì, è possibile. L’appropriazione del sentimento razzista da parte del personaggio afroamericano è tangibile: Pauline vive, di fatto, una vita parallela nella casa di bianchi in cui fa da governante.

Lì lei ha tutta un’altra cura degli oggetti, tutta un’altra concezione della casa stessa. Quella non è la sua brutta baracca, quella è una casa vera, pulita, piena di mobili e di finestre, con la dispensa piena di ingredienti utili per preparare un dolce ai mirtilli alla piccolina di casa, una bimba bianca e bionda che Pauline tratta con molta più gentilezza di quella che rivolge ai propri figli.

Toni Morrison L'occhio più azzurro

Così anche Pecola partecipa di quel sentimento: se avesse gli occhi azzurri sarebbe un’altra Pecola, una Pecola che non dovrebbe fronteggiare i problemi della bruttezza etnica che si porta dietro.

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In una delle scene finali nonché fra le più significative del libro Toni Morrison ci mostra uno dei più grandi meriti de L’occhio più azzurro: non ci sono buoni, non ci sono cattivi

Cattivo è il sistema sociale, quello economico, che innescano azioni e conseguenze poi davvero difficili da arrestare, azioni e conseguenze che generano, come si diceva prima, sempre nuova violenza e oppressione.

Pecola subisce una violenza, a causa di quella violenza rimane incinta, ma nella sua mente di ragazzina le cause e gli effetti sono ancora due idee difficili da considerare e mettere in relazione fra loro: ciò che le capita, le capita perché lei è Pecola, perché è brutta e perché i suoi occhi non sono azzurri.

Così va a casa di una sorta di medium, un santone che si dice intermediario di Dio, un uomo che molesta le bambine perché loro sono abbastanza delicate, arrendevoli, raggirabili.

Toni Morrison
Toni Morrison

Il lettore lo sa, perché la digressione sul santone Toni Morrison la inserisce magistralmente prima che Pecola bussi a quella porta: così la scena viene letta al lume dell’apprensione, sino all’ultimo istante preghiamo che quell’uomo non sia l’ennesimo mostro che deturperà quella vita.

E non lo farà, perché persino lui avrà pena della bruttezza e della pazzia di Pecola.

Pazzia sì, perché Pecola finisce così. La sua mente non reggerà il peso del trauma subito, della gravidanza, delle sue conseguenze. Pecola, alla fine del libro, è stata ingoiata e risputata fuori dalla società in cui vive, è tutta masticata e ferita e l’unica cosa che riesce a renderla felice sono quegli occhi azzurri che crede di avere ottenuto per volontà di Dio.

DISCLAIM

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  • Questo post non è stato sponsorizzato da Toni Morrison né da nessun’altra delle sorelle Ya ya



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