Chi è la vecchia dell’aceto? | Letteratura popolare siciliana

chi è la vecchia dell'aceto
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In barba a chi sostiene che Halloween sia una festa altrui e a noi del tutto estranea, nella mia mente Halloween, la Festa dei morti, Palermo, la tradizione siciliana, sono fortemente connessi.

Sarà che da quando vivo a Milano ogni anno, fra Halloween e la Festa dei Morti sono tornata a casa, giusto qualche giorno, giusto il tempo di portare un fiore su una tomba e addentare un tetù (biscotti tipici del periodo), sarà che la tradizione palermitana circa questa festa è molto ricca, molto invadente, ma io in Halloween ci vedo la Festa dei morti e quindi, ci vedo Palermo.

 

la vecchia dell'aceto natoli letteratura siciliana
La Cattedrale di Palermo

 

Così, quest’anno, la scelta della mia lettura di Halloween è ricaduta su un libro insospettabile: non è un horror, non è un thriller, è frutto della tradizione popolare siciliana, è un romanzo a puntate di inizio Novecento e parla di una cosiddetta serial killer, forse la prima palermitana, che nel Settecento spargeva la morte fra i vicoletti del Cassero di Palermo.

Si tratta de La vecchia dell’aceto di Luigi Natoli e in questo post vi racconterò della mia lettura.

 

– TEMPO DI LETTURA 4 MINUTI –

Chi è la vecchia dell’aceto?

La Giovanna Bonanno della storia di Natoli è una levatrice che, approfittando dei segreti scoperti grazie al suo lavoro (figli illegittimi, gravidanze clandestine) prova a spillare soldi ai suoi clienti. Per questo finisce in prigione e quando ne esce è invecchiata e sfigurata dalla fame e la miseria patite da prigioniera, diventa una mendicante e inizia a vivere di espedienti.

Uno di questi espedienti – a parte il solito tramare, origliare, ricattare – è l’aceto dei pidocchi.

È un detergente usato per debellare i pidocchi che, se ingerito, intossica e porta alla morte la vittima senza che nessuno possa scoprirne l’avvelenamento.

 

la vecchia dell'aceto luigi natoli

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La storia che racconta Natoli, forse proprio per la sua natura di romanzo a puntate, si allontana parecchio dalla figura della vecchia dell’aceto. Spesso lei non si vede per capitoli interi ma non ci si dimentica mai che tutte le intricatissime faccende che si diramano sulla pagina che si sta leggendo scaturiscono da un’azione di Giovanna Bonanno che, pur non essendo sempre presente, sembra tirare i fili di tutti i burattini che sono i personaggi de La vecchia dell’aceto.

 

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Un po’ cappa&spada, un po’ romanzo popolare, un po’ sentimentale – di quel sentimentale molto latino e molto sanguigno che si avvicina alla telenovela messicana! – La vecchia dell’aceto è fondamentalmente la storia due figli illegittimi che, nati da nobili, vengono affidati alla ruota, ossia ad una sorta di orfanotrofio e poi allevati da genitori popolani.

Il riscatto sociale è forse il tema preponderante e il contrasto fra gli agi in cui vive la nobiltà e la miseria in cui vive il popolo è raccontato nel dettaglio. Tuttavia, il popolo palermitano de La vecchia dell’aceto (forse il popolo palermitano in genere, in tutto l’arco della sua storia), non punta ad un riscatto in quanto popolo, non vuole che l’agio e il benessere siano allargati anche a chi nobile non è: l’unica aspirazione, l’unico motivo di lotta senza quartiere è diventare nobile, prendere il posto del privilegiato e diventare privilegiato a propria volta.

Non si lotta contro il privilegio, si lotta per il privilegio.

 



 

Leggendo La vecchia dell’aceto ho rivisto Palermo e i suoi abitanti in tutta la loro grettezza e piccolezza, incredibilmente immutati da come venivano descritti, settecenteschi, da un autore negli anni Trenta ad ora.

Non me ne vogliate, lo sapete, non ho una buona opinione della mia città natale: a Palermo c’è anche tanta gente per bene, ma la maggioranza di chi ho incontrato, di chi ho esperito sulla mia pelle è popolino debole coi forti e forte con i deboli. E così, uguale, ciò che descrive Natoli.

 

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Busto di Giovanna Bonanno

 

È presente, all’intero del romanzo, ed è per altro molto affascinante, anche la descrizione di una mafia in nuce, che, nel Settecento, ancora mafia non è, ma che possiede già tutti i suoi presupposti: la prepotenza, la strafottenza del potere centrale, la non condivisione delle regole. Forse però c’è anche un motivo per cui è così: il potere centrale, la giustizia, ciò che un paio di secoli dopo verrà identificato dal palermitano medio come lo Stato, è un potere che pensa solo a se stesso.

 



 

La Sicilia del Settecento è governata dai vicerè spagnoli, gli unici che avevano un qualche tipo di voce in capitolo erano i nobili, il popolo non contava nulla. Non lo condivido ma lo capisco: in una condizione simile il popolo sopravvive organizzando il proprio governo parallelo, la propria giustizia parallela.

 

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Palermo, cartina d’epoca

 

E l’aceto di Giovanna Bonanno è quasi una giustizia parallela, è il deus ex machina che interviene quando sembra andare tutto a rotoli. Se tuo marito ti picchia o se temi che il tuo complice in un crimine possa parlare e accusarti, tu chiama Giovanna Bonanno e lei arriverà con la sua caraffina dei miracoli.

 

Leggere in autunno

Chi è (davvero) Giovanna Bonanno?

La Giovanna Bonanno di Natoli è un ente di finzione, ma Giovanna Bonanno, la mendicante che spacciava veleno, è esistita davvero nella Palermo del Settecento, è stata condannata per stregoneria e, infine, impiccata ai Quattro Canti.

Al di là dell’ovvia condanna di qualsiasi crimine, a maggior ragione un crimine contro la vita umana, la storia di Giovanna Bonanno sembra configurarsi come una storia di resistenza.

Una donna estranea al sistema, sputata fuori dal sistema che, per sopravvivere, contamina, intossica e uccide il medesimo sistema che non ha voluto includerla. In questo è davvero, in tutto e per tutto, una strega.

 



 

Giovanna Bonanno è una donna che non si adatta, che non ha trovato, come si dice, il proprio posto nel mondo: non vive una vita regolare, per quanto povera, ha scoperto un intruglio che avvelena, uccide e non lascia traccia e lo vende per lo più a donne che non hanno altro modo per sbarazzarsi di matrimoni infelici (ma non solo). Giovanna Bonanno è una mina vagante, del tutto incontrollabile e incoercibile, l’unico modo per controllarla è ucciderla.

 

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Luigi Natoli

 

La conoscenza è il potere delle donne ma le donne che conoscono fanno incazzare gli uomini

Non me ne vogliano gli studiosi di Shakespeare, ma sto per fare un parallelismo azzardato: la nostra Giovanna Bonanno mi ricorda, in qualche modo, Sycorax, la strega madre di Caliban ne La tempesta.

Sycorax, potentissima maga di Algeri, è esiliata sull’isola in quanto detentrice della conoscenza magica. Alleva il figlio Caliban da sola e lo inizia al culto del demonio: Caliban sarà il deforme e incomprensibile indigeno, unico abitante dell’isola sulla quale la madre l’ha cresciuto, che verrà poi spodestato e soggiogato da Prospero.



 

Un personaggio femminile come Giovanna Bonanno che pur nell’indigenza e nell’emarginazione, riesce a influenzare così profondamente le vite altrui, a me pare molto affascinante.

In generale, ne La vecchia dell’aceto, sono le donne a fare le cose, a prendere l’iniziativa, a risolvere i problemi. Gli uomini si prendono a pistolettate, muoiono o fuggono per i campi senza ottenere mai nulla di concreto, le donne invece, nel silenzio, in segreto, tramano e ottengono sempre qualcosa.

 

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Sullo sfondo di tutto questo, Palermo.

Tanto odio i suoi abitanti, quanto amo lei, con le sue viscere nere e sudicie, quei vicoli che non si sa mai cosa sputeranno fuori. Palermo pagana e cattolica insieme, strega, monaca di clausura, popolana e gran donna, morta di fame, sempre, soggiogata da un oppressore, da un occupante che quasi sempre si piega a servire.

 

grand-guignol

 

Nelle pagine di Natoli ripercorro le vie del centro storico di Palermo che un tempo avevano altri nomi, vedo le periferie che un tempo erano borgate se non aperta campagna, scopro il senso di volgarissimi modi di dire ancora in uso (cascittuni per “spia” ad esempio, dal cassettone che fungeva da latrina nelle carceri, nel quale veniva immersa la testa del traditore).

Così, in una storia di morte e segreti, ambientata nella città in cui sono nata, circa 200 anni prima della mia nascita, ritrovo, in un certo qual modo, il senso del mio legame con Palermo: fra quelle strade succede di tutto, da sempre.

Per quelle strade si sono incontrati tutti, i vincitori e i vinti della Storia politica e della Storia sociale. Per quelle strade si sono parlate tutte (o quasi) le lingue del mondo, si sono vestiti abiti di ogni foggia e provenienza, si sono adorati dèi leciti e illeciti. Palermo è un universo a se stante di vita spontanea, anarchica, irriducibile che va avanti nonostante tutto, in questa sua improbabile e perenne sopravvivenza.

 

DISCLAIM

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  • Questo post non è stato sponsorizzato dai leghisti che odiano i siciliani



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